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Il nostro corpo, dice Downing, crea una sorta di messinscena, un campo in cui ciascuno di noi incontra gli altri attori del proprio dramma personale: uno degli scopi della terapia è cambiare questa messinscena. La combinazione in un unico metodo di due attività che di solito sono svolte separatamente (il lavoro sul corpo da una parte, e un approccio clinico che resta sul piano esclusivamente verbale dall’altra) offre una possibilità ineguagliabile di accedere agli strati più remoti della storia della nostra infanzia: apre una porta, che pochissime forme di terapia riescono ad aprire, sull’origine prima dei nostri fondamentali conflitti individuali.
Recensioni
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recensione di Viacava, A., L'Indice 1996, n. 7
Raramente succede di imbattersi in un libro che riesce a fare il punto di una disciplina; ancor più raro che succeda per tre: in questo caso la psicoanalisi, la terapia corporea e la ricerca sullo sviluppo infantile, senza trascurare il contesto storico, filosofico e scientifico in cui sono venute sviluppandosi e articolandosi tra loro.
Downing si accosta agli argomenti con competenza, e con un apparato bibliografico ampio, trasmettendo una visione esauriente non solo della psicoterapia corporea quale lui la pratica, ma dei mille intrecci tra le diverse forme, ricostruendone le storie, facendone una acuta esegesi, formulando dei giudizi critici cauti e argomentati. L'attenzione al corpo in campo psicoanalitico viene infatti rintracciata sino al rapporto tra Ferenczi e Groddeck, negli anni venti.
Ferenczi intuì subito l'importanza delle esperienze relazionali precoci e del loro stretto legame col corpo. Inizialmente considerò il corpo una specie di ostacolo all'analisi, un possibile veicolo di evacuazione di emozioni e affetti che attraverso gesti, posture, movimenti, ne nascondesse i segreti. Per questo ricorse a quella che chiamò "tecnica attiva", che consisteva semplicemente nell'invitare il paziente a reprimere movimenti o posture che lui riteneva ostacolassero l'affiorare alla coscienza di qualche materiale significativo. In un secondo tempo non cercò più di sopprimere l'espressione del corpo dal processo terapeutico, ma di inserirvelo; infine lo stato regressivo che il lavoro sul corpo può provocare, dapprima interrotto al suo insorgere, venne invece incoraggiato a consolidarsi.
Ne emergevano frequentemente storie di violenze subite che lo portarono a rivedere la posizione freudiana: è noto come, dopo un primo momento in cui prese sul serio le storie di violenze e abusi delle sue pazienti, quando scoprì l'esistenza della fantasia inconscia, Freud le liquidò un po' sbrigativamente come tali. Ferenczi comprese che alla base vi era, se non una vera e propria violenza sessuale, "un modo effettivamente sbagliato, privo di comprensione e di tatto, lunatico e addirittura crudele di trattare i bambini". Così pensò di poter sostituire il vissuto di deprivazioni e i traumi con una nuova esperienza che, svolgendosi in un ambiente accogliente, comprensivo, affettivamente in contatto coi bisogni infantili del paziente, potesse riparare il danno subito.
La sua morte non gli diede il tempo di rettificare gli inevitabili errori di percorso: il bisogno di contenimento fisico non interpretato ma agito con abbracci, cosa che provocò i sarcasmi di Freud; il tentativo di analisi reciproca che finiva con lo stringere i due in un nodo soffocante e senza uscita. Ma Downing è certo che, se ne avesse avuto il tempo, Ferenczi ne sarebbe venuto a capo, sensibile e intelligente come era. Così come, oltre a intuire l'importanza della relazione fin dall'inizio della vita, e dell'inestricabile intreccio mente-corpo, fu il primo a sviluppare il concetto di scissione come sofferenza traumatica, che induce una parte della personalità a vivere in clandestinità e a trovare, nello sforzo di emergere, solo la via del sintomo.
Ci sono voluti molti anni, e molto lavoro da parte di diversi ricercatori, perché fosse compiuto il passo successivo, e cioè la formulazione dell'ipotesi che la ripresa di contatto consapevole con le rappresentazioni motorie, cioè preverbali, del passato, non è che la premessa alla scoperta di risorse corporee latenti, non percepite, ma sviluppate e disponibili.
L'analisi reciproca, se si rivelò un fardello troppo grande da portare per la coppia analitica, intensificando oltre il tollerabile le difficoltà del controtransfert, è ancora oggi, attraverso il "Diario clinico" di Ferenczi, una fonte preziosa di scritti sulla regressione.
Ferenczi intrattenne un ricco e profondo rapporto di scambio con Groddeck, il primo a esercitare una sorta di psicoterapia corporea, di integrazione dell'insegnamento freudiano con la sua vasta esperienza in psicosomatica e manipolazione del corpo, che gli permise di formulare il concetto di difesa corporea coinvolgente tanto la contrattura muscolare cronica e la controattivazione di certi gruppi muscolari, che l'affievolirsi della respirazione come strumenti essenziali di rimozione psicologica; concetti tuttora fondanti per qualunque lavoro che passi attraverso il corpo. Egli riconobbe per primo la necessità di lavorare sul transfert negativo per liberare spazio nella relazione analitica, segnalò l'origine precocissima della sofferenza di mente e corpo nell'interazione madre-bambino e arrivò addirittura a formulare con straordinaria intuizione l'ipotesi che i sentimenti nutriti dalla madre influissero inconsciamente su questi scambi. Non sempre le scoperte di questi pionieri degli anni venti vengono riconosciute in tutto il loro peso da autori successivi, così come il contributo di Wilhelm Reich, di cui in questo caso viene invece sottolineata tutta l'importanza per il lavoro sulle resistenze e sul carattere, senza che per questo venga risparmiata una discreta e argomentata critica al modello energetico: il tentativo di costruzione di un modello onnicomprensivo cui Reich si abbandon• verso la fine della sua vita.
In campo strettamente psicoanalitico l'autore spiega il perché della sua scelta in favore della teoria delle relazioni oggettuali: la centralità della relazione, l'attenzione alle sfumature del transfert, l'accesso anche a pazienti gravi, l'attenzione alle fasi precocissime della vita, cui viene fatta risalire la radice della sofferenza mentale.
Ed è proprio alle fasi più precoci dello sviluppo che viene dedicato ampio spazio: la chiarezza con cui vengono discusse le teorie di attaccamento e differenziazione di John Bowlby e Margaret Mahler, messe a confronto con le ricerche più recenti di Daniel Stern e di altri osservatori dello sviluppo infantile, permette all'autore di estrarre dai vari punti di vista i contenuti più significativi.
Si scopre così che, se la capacità di sintonizzarsi con il bambino della persona che ne ha cura è fondamentale per il suo sviluppo fisico, motorio, cognitivo e affettivo, sul versante della psicoterapia corporea si osserva come le grandi paure e lo sviluppo incompleto degli schemi affettivo-motori hanno a che fare con disturbi precoci del contatto corporeo.
La modulazione dell'accudimento può fallire per difetto, ma anche per eccesso e per inadeguatezza della qualità, sicché si può avere anche l'opposto della deprivazione, quando si ha scarso rispetto per l'autonomia e poca fiducia nella possibilità di tollerare le frustrazioni e dunque di accettare la modulazione delle risposte.
Downing riporta l'affascinante lavoro osservativo della Demos sull'interazione tra adulto e bambino come limitazione ritmica, in cui l'autrice mostra che il genitore seleziona inconsciamente, e in questo modo determina radicalmente, la forma del rapporto del bambino con le proprie emozioni. Cioè i genitori e l'ambiente che sta attorno al bambino non sono affatto consapevoli dei messaggi corporei che assai prima che sia possibile lo scambio verbale indirizzano al bambino, di come vengano inscritti nel corpo codici di comportamento, di accettazione e rifiuto in risposta a emozioni, affetti, pulsioni e bisogni magari in contraddizione con quanto consapevolmente sostenuto e verbalmente dichiarato.
La difesa corporea dalle angosce connesse con le disarmonie ambientali si struttura dunque molto precocemente, e nel corpo conserva segreto il dolore mentale in contratture e allentamenti, movimenti e blocchi, alterazioni del respiro. La descrizione che ne fa Downing è accurata, minuziosa, e la sensazione che se ne ha, come in tutto il resto del libro, è di ampiezza e agio; ci si prende il tempo per spiegare e per comprendere. Del resto questo sembra essere il messaggio di fondo, e per questa ragione forse viene dedicato ampio spazio al lavoro terapeutico puramente verbale, in aperto dissenso con la fretta catartica delle tecniche corporee degli anni settanta.Eppure anche di queste viene dato conto, assieme a una ampia panoramica che spazia dalle terapie corporee di fine Ottocento all'attualità, riconoscendone l'efficacia, ma anche la pericolosità o l'inutilità di scorciatoie, appunto, catartiche; del resto lo stesso Alexander Lowen, il più autorevole terapeuta del corpo vivente ha, proprio per questo, radicalmente modificato nel tempo la sua tecnica, rendendola più morbida, consapevole e mirata.
La tecnica di Downing è fatta invece di grande capacità di ascolto, un lento far spazio a diversi movimenti fisici e mentali che vengono a lungo elaborati verbalmente prima che con estrema prudenza e rispetto venga introdotto il lavoro sul respiro e sul corpo del paziente.
Se le difficoltà sono più o meno le stesse che incontra qualunque terapeuta, il terapeuta del corpo che abbia una solida formazione psicoanalitica ha qualche strumento in più per accedere al passato preverbale o ai nascondigli in cui spesso vengono tenuti emozioni, pensieri, affetti. Ma ha anche un'opportunità che qualunque analista può usare per orientarsi soprattutto nei momenti di impasse: l'osservazione del proprio controtransfert corporeo, a partire dalle variazioni del proprio respiro.
Ma qui si apre un'area di ricerca limitrofa a quella specifica di Downing, che se ne riconosce infatti debitore a Roberto Speziale Bagliacca, autore della colta prefazione.
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