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Questo breve saggio appartiene alla categoria delle opere furbette: non è troppo impegnativo da scoraggiarne la lettura sotto l'ombrellone, epperò si presenta "denso" e "intelligente", pertanto gratifica il lettore laureato che non disdegna il prestigio di vedersi riconosci "interessi culturali" e di partecipare al dibattito sul futuro del libro e dell'istruzione. Diciamolo subito: di "denso" e "intelligente" in questo testo, a guardar bene, c'è poco o nulla. Il trucco sta tutto nel costruire l'argomentazione "smontando" opinioni che nessuno ha formulato seriamente ma che magari possono sembrare correnti perché compaiono in pezzi giornalistici scritti frettolosamente. Il risultato è una raccolta spiazzante di banalità. Ma il testo non è tutto così, è vero: le prime 50 pagine sono dedicate a sostenere la testi che il libro di carta in molti contesti d'uso (per esempio nel suo impiego didattico) è "un formato cognitivo perfetto" superiore al libro elettronico. E questo non sulla base delle evidenze sperimentali di opportune ricerche sul campo: non servono! Questa superiorità si evince dalla constatazione che se leggo su un tablet è più probabile che sia distolto dalla lettura dalla presenza di tante app divertenti! Tutto qui? Tutto qui; argomentato (si fa per dire) con stile, si capisce. Si tira in ballo l'"ecosistema" della lettura e il design del supporto, la normatività automatica e tanti altri concetti a far da vestitino colto e elegante a questa pochezza argomentativa. Chi ricorderà al Casati che, senza avere l'iPad sulle ginocchia ma un bel librone di carta, l'Alfieri si doveva far legare dal domestico alla sedia per costringersi a studiare? E chi gli farà notare che il libro di carta si accompagna sempre nelle mani di un adolescente ad uno smartphone? Si deve dar per scontato che una lettura seria e impegnativa potendo debba essere abbandonata per attività di svago? In definitiva l'opera risulta o mal argomentata o fin troppo condivisibile.
"Contro il colonialismo digitale" non è scritto da un luddista, ma da uno che sa il fatto suo nell'uso oculato delle tecnologie. Professore universitario di filosofia, in Italia e in Francia, usa il blog per discutere con gli studenti i contributi da studiare, chiede loro di scrivere nuove voci di wikipedia, suggerisce di utilizzare gli SMS per fare tutoraggio (non a caso, usando preferibilmente tecnologie low e anche low cost), e invece critica duramente (e fondatamente, a mio avviso) la velleitaria infatuazione ministeriale per i tablet nelle scuole, come sostituto dei libri di testo. Fare un buon manuale, ammonisce, è cosa ben diversa dal "copia-incolla", di solito non è alla portata di un qualsiasi insegnante, ma implica un accurato lavoro di selezione, di riordinamento, di sottrazione di informazioni inutili o secondarie, anziché quel continuo accumulo, favorito dal costo zero del supporto virtuale. Attenzione poi all'essere sempre connessi - ci avverte - e quindi sempre distratti, quando il punto di forza della scuola è proprio il lusso di potersi concentrare, condizione indispensabile per poter leggere e soprattutto per poter studiare e rielaborare criticamente. Suggestiva la proposta di istituire nelle scuole il mese dedicato alla lettura, sospendendo lo svolgimento dei programmi e affidando a ciascuno degli studenti un libro al giorno da leggere e da discutere: un libro diverso per ciascuno. Come prova, secondo me, si potrebbe cominciare anche da una settimana. Leggere è possibile con un ereader, ma non lo è più con un tablet, sempre esposto alle suggestioni e alle curiosità estemporanee che vengono dalla Rete (il mito del multitasking). Ma il kindle è destinato ad essere fagocitato dal tablet, così come la fotocamera digitale lo fu dallo smartphone, perché lo strumento più ricco incorpora anche la funzione più semplice. Lunga vita al libro cartaceo, costruito linearmente, che può essere donato o prestato e non trasmette informazioni a nostra insaputa.
Recensioni
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