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L’incipit del romanzo lascia intendere che l’autore ha scelto la via dialogica per dare significato e sentimento al suo lavoro; una scelta che condivido, giacché sono i dialoghi che intessono in prevalenza i rapporti umani. Palazzeschi vi aggiunge poi il sale della sua visione ironica e sognante, incantata e parossistica della vita, e così noi abbiamo a che fare subito con un individuo che emette, in un intercalare continuo, strane parole che paiono senza senso, ma saranno poi spiegate: “Pena! Rete! Lama!”, da cui “Pe… Re… La…”, ossia Perela, dal quale, dopo che qualcuno dei protagonisti lo ha perfezionato, il nome del personaggio principale Perelà, e il titolo del libro: “Il codice di Perelà”. A chi lo incontra, questo singolare individuo pone più di un interrogativo (“Di che cosa siete, signore?), fra i quali il più importante è se egli sia o meno un uomo come gli altri: “di uomo mi sembra non abbiate che le scarpe.”, gli dicono. Lui infine risponde che è un uomo di fumo ed è “tanto leggero”. Come può accadere nelle fiabe, è in viaggio verso una città governata da un re, Torlindao, circondata da mura e con porte vigilate da gabellieri. Ricevuto alla corte del re, risponde che viene “Di lassù.” e che prima di “scendere alla luce” vi è rimasto più di trent’anni. “Lassù” è la cima di un camino, al cui interno, come dentro un utero nero, egli ha preso forma di uomo di fumo, in forza del fuoco sempre acceso, “Anche nel mese d’Agosto”, e durante questa lunga gestazione lo hanno accudito “tre vecchie madri”: Pena, Rete, Lama. Gli hanno insegnato molte cose e soprattutto che non sarebbe stato più solo, e avrebbe fatto un viaggio nel mondo. Possiamo perciò desumere che quell’intercalare, quella insistente e profetica invocazione alle madri, non sia altro che la continua dolorosa ricerca di una conoscenza su cui poggiare una speranza e una fiducia nella vita, davanti alla quale, quando vi ci si affacci, qualunque sia la nostra età, ci presentiamo sempre come fanciulli vestiti di purezza (il fumo è il risultato, infatti,
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