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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
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Tra gli scrittori polacchi nati dopo il 1950, Andrzej Stasiuk è sicuramente uno dei più conosciuti in Occidente. È stato tradotto in molte lingue e soprattutto in Germania i suoi romanzi, saggi e racconti hanno un innegabile successo. È anche un personaggio ammantato di leggenda, grazie al passato anticonformista e un presente dal sapore alternativo:non ha finito gli studi, è un autentico outsider della letteratura e ha perfino trascorso un anno e mezzo in prigione per renitenza alla leva. Dal 1987 si è trasferito nei bassi Beskidy, ai piedi dei Carpazi, in un villaggio dal nome suggestivo, Czarne (significa nero), dedicandosi tra l'altro all'allevamento di caprette e lama. Czarne è anche il nome della piccola casa editrice da lui fondata nel 1996, oggi una delle più interessanti della nuova editoria, che si è distinta nel promuovere giovani narratori e poeti non solo polacchi ma anche degli altri paesi dell'Est (www.czarne. com.pl/en).
Autore che suscita forti contrasti per la vena provocatoria e anticonformista, nel suo paese Stasiuk ha conquistato fin dall'inizio uno stuolo di fan entusiasti. Dal suo primo romanzo Biały Kruk (1995; Corvo bianco , Bompiani, 2002), libro cult che qualcuno ha definito un western dell'era del capitalismo, è stato prontamente tratto un film - Jerzy Zalewski, Gnoje (Letame), 1995 -, mentre i racconti del suo esordio, Mury Hebronu (Le mura di Hebron, 1992), ispirati alla brutale realtà del carcere, sono ormai alla quinta ristampa. Hanno avuto anche successo di pubblico e di critica la sua scanzonata autobiografia - Jak zostałem pisarzem, próba autobiografii intelektualnej (Come sono divenuto scrittore, tentativo di autobiografia intellettuale, 1998) - , Tekturowy samolot (Aereo di cartone, 2000), brevi schizzi dedicati tra l'altro a Beckett, Hrabal e Bukowski, e Moja Europa. Dwa eseje o Europie zwanej Środkową (La mia Europa. Due saggi sulla cosiddetta Europa Centrale), scritto a quattro mani con lo scrittore ucraino Jurij Andruchovyč. Inoltre il quarantatreenne scrittore polacco è un apprezzato collaboratore giornalistico, in patria di "Tygodnik powszechny" e "Gazeta Wyborcza", in Italia dell'"Espresso".
La fortuna dei suoi libri è molto legata alla loro ambientazione nella transizione dal cosiddetto socialismo reale a un capitalismo privo di regole e ideali e al marchio generazionale dei suoi personaggi, nati come lui nei primi anni sessanta.>L'occhio del narratore, proveniente dal mondo delle grandi città, quasi da un altro pianeta, scandaglia i fondali della provincia più sperduta indagando tra le pieghe della svolta storica ed economica che ha inaugurato la Terza repubblica. La scrittura di Stasiuk sa spostarsi con elasticità dall'oggetto quotidiano al simbolo, rivelando un mondo ancora immerso nel passato, ma dentro cui rimbalzano grottescamente le icone della modernità, come le felpe con le scritte pubblicitarie, i bagnoschiuma e gli onnipresenti deodoranti. Altri racconti invece narrano dei cambiamenti nelle grandi citt à, rese lussuose nei centri commerciali dai capitali stranieri, ma rimaste sporche e sbrindellate in periferia.
La Varsavia dello Hinterland , ripopolato dopo la guerra da centinaia di migliaia di famiglie contadine, era già stata raffigurata con efficacia in alcuni racconti di Przez rzekę (Traversando il fiume, 1996) e nell'autobiografia. Essa ha un ruolo fondamentale anche nel suo secondo romanzo, Dziewięć (1999), che oggi Bompiani propone a poco più di un anno dalla traduzione del primo, il già citato Corvo bianco .
Dziewięć in polacco significa nove (ragione banale: si tratta della nona opera di Stasiuk), ma la versione italiana lo ha ribattezzato Il cielo sopra Varsavia , infelicissimo titolo che ha il torto di far pensare alla liricità patinata del bel film di Wenders, con cui invece il libro ha veramente molto poco in comune. Bolek, Paker, Paweł e Jacek hanno percorso strade diverse, ma sono legati dal fatto di aver trascorso l'infanzia e l'adolescenza nella stessa banda di cortile, tra scorribande in città (su autobus e tram) e una comune iniziazione alla vita adulta. L'azione ha luogo in pochi giorni di un aprile dei primi anni novanta. Paweł ha un piccolo negozio di biancheria e ha preso un prestito a usura, Paker è stato costretto da una gang a cessare un'attività di commesso viaggiatore, Jacek è un piccolo spacciatore, Bolek un capetto mafioso che ha raggiunto un decoroso benessere ed è affetto da un consumismo maniacale. Come in Corvo bianco , sul loro rapporto incombono l'ombra del tradimento (per trovare velocemente dei soldi a Paweł viene proposto di tradire Jacek) e la nostalgia per un'adolescenza mitica. Jacek e Paweł percorrono in lungo e largo la città a piedi o sui mezzi pubblici fuggendo dagli scagnozzi che li inseguono, Paker entra nell'organizzazione mafiosa di Bolek, ma il cuore di tutti è rimasto tra i vecchi cortili di periferia o sui vecchi tram sgangherati d'antan .
Così Stasiuk innesta sul cliché dell'eroe solitario in fuga da una banda di cattivi, così tipico di tanti film d'azione americani, su un altro altrettanto sfruttato: il viaggio come riscoperta della propria identità. Un'identità - verrebbe da dire - corale, che accomuna tutti, fuggitivi e inseguitori, prostitute e spacciatori, che annulla la linea di confine tra buoni e cattivi: per tutti ovunque stanno in agguato scorci e ricordi della giovinezza. È proprio questo uno dei punti deboli del romanzo: l'elencazione francamente pedante dei percorsi e delle linee degli autobus e la minuziosa topografia delle peregrinazioni dei personaggi non riescono comunicare quella corrente elegiaca che scorre dentro di loro, a creare una compartecipazione dei loro miti: alla fine il lettore condivide con loro solo un senso di acuta claustrofobia.
È chiaro ormai che il girovagare non ha più una vera meta (infatti il romanzo non ha un finale vero e proprio e si conclude con i due fuggitivi che contemplano i tetti della principale arteria di Varsavia, la Marszałkowska). La capitale si mostra quindi come un labirinto onirico, un luogo asfissiante e senza uscita.Purtroppo lo scrittore qui non è un maestro nell'ordire una simile trama di eventi paralleli e simultanei, interpuntati da frequenti flashback (con una ginnastica sintattica tra presente e passato non sempre resa limpidamente dalla pur bravissima traduttrice), né nell'uso del discorso indiretto libero. La cosa viene complicata ancor più da una scelta deliberata di situare i nomi solo verso la fine dei brani, così da disorientare il lettore rendendogli arduo attribuirli all'uno o all'altro personaggio.
Ma al netto di queste osservazioni, le parti migliori del romanzo possono dirsi proprio quelle che raffigurano Varsavia. La capitale, in cui ha trascorso la sua mitica giovinezza e da cui è platealmente fuggito, è una città che nell'ultimo ventennio è stata modificata nel suo aspetto più di altri centri urbani polacchi, sottoposti a felici operazioni di restauro delle loro parti storiche. Totalmente distrutta dopo l'insurrezione del 1944 e ricostruita con i casermoni tipici dell' architettura socialista, non ha potuto contrapporre una vera e propria identità all'invasione dei capitali occidentali ed è stata visibilmente invasa da alberghi di lusso e centri commerciali.
Tuttavia le ragioni della nostalgia dello scrittore polacco per la città della giovinezza (e della giovinezza dei suoi personaggi) non affondano in un improbabile rimpianto verso il passato regime. I suoi libri di non possono essere letti come una sorta di paradocumentario sociologico su ciò accade oggi nel suo paese, anche in mancanza di un'informazione costante che riesca a "bucare" le pagine degli organi di stampa. Non va dimenticato che il romanzo adotta il motivo della città tentacolare, ricorrente nella cultura polacca e ben testimoniato anche all'epoca della Polonia socialista. Dal Disgelo , la vita nei brutti quartieri metropolitani appare comunque impossibile e alienata. Nel recepire questo motivo nell'ambito di un trapasso storico e generazionale, Stasiuk introduce accenti visionari e grotteschi. Inoltre, nel C ielo sopra Varsavia sembra raccogliere felicemente la lezione del celebre Decalogo di Kieślowski (1987-89): i suoi personaggi vivono solitudini parallele, si sfiorano negli stessi luoghi senza accorgersene, mentre l a>narrazione aspira a una coralità ramificata,>facendosi grandangolare , zoomando scorci laterali, storie contigue che non si ha tempo di narrare.
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