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Catechismo della Chiesa cattolica - copertina
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Catechismo della Chiesa cattolica - copertina

Dettagli

2
1999
1 gennaio 1999
988 p.
9788820926380

Voce della critica


recensione di Pratesi, P., L'Indice 1993, n. 5
(recensione pubblicata per l'edizione del 1992)

Un catechismo è un documento radicalmente ecclesiale, del tutto interno alla vita della Chiesa, destinato a sintetizzare in un momento dato i cardini della dottrina che scaturiscono dalla Rivelazione e dalla Tradizione nonché i principi e le norme della morale cristiana. Per sé esclude la problematicità. Sembra pertanto un fuor d'opera cercarvi le luci della profezia, come i cristiani più esigenti avrebbero preteso, ponendosi in una posizione critica nei suoi confronti.
Normalmente l'esigenza di formulazioni del genere da parte del Magistero istituito nasce dalla constatazione o dal timore che si stemperi il nucleo fondamentale, dogmatico sul quale si base la struttura stessa di una istituzione complessa come la Chiesa cattolica. L'edizione attuale non fa eccezione.
Un po' per paradosso e forse con involontaria malizia "La Civiltà cattolica" ricordava che il primo a scrivere un "Piccolo catechismo" con i rudimenti fondamentali della fede, seguito poi da un "Grande catechismo" per gli opportuni approfondimenti, fu Martin Lutero (1529), pur ritenuto a ragione il campione del libero esame: voleva venire incontro alle esigenze dei predicatori della dottrina riformata. A parte il Catechismo di Pietro Canisio che, circa trent'anni dopo, si preoccupò di formulare un omologo cattolico che rispondesse in qualche modo all'iniziativa di Lutero, il precedente più illustre e solenne sul quale è del resto formalmente ricalcato il catechismo attuale e il "Catechismus ad parochos", detto poi Catechismo romano, promulgato con un certo ritardo da Pio V in ottemperanza a un preciso mandato del Concilio di Trento; e fu considerato un "rimedio salutare" contro la diffusione capillare dell'eresia. Tra questo catechismo e l'attuale ci sono state diverse produzioni di catechismi a opera di teologi e educatori, da Roberto Bellarmino ad Alfonso De Liguori a Don Bosco, riconosciuti dalla Chiesa ma senza un crisma di ufficialità e di universalità. Il Catechismo di Pio X che segue alla crisi modernista ebbe una diffusione prevalentemente italiana e la stessa "Civiltà cattolica" vi riconosce oggi "varie lacune".
Come si vede dunque, la formulazione dei catechismi quanto più ufficiale e universale è conseguenza di una crisi, di una situazione di inquietudine dottrinale e pastorale della Chiesa. Lo spirito di fiducia che pervase il Concilio Vaticano II non indusse i Padri, come era accaduto a Trento, a chiedere che si redigesse un nuovo catechismo. È anzi significativa la circostanza che un voto perché "novus edatur catechimus" fosse contenuto nei documenti preparatori i quali, però, come è noto, furono per così dire travolti dallo stesso Giovanni XXIII sulla spinta preponderante dei Padri. Non è perciò del tutto esatta la tesi di chi fa scaturire il Catechismo dal Concilio, anche se è giusto riconoscere che nelle singole indicazioni il nuovo catechismo ricalca spesso le posizioni conciliari. Meno lo spirito.
Il Concilio rimane peraltro il riferimento principale per valutare dal punto di vista esterno, il senso di questo libro singolare, difficile da leggere non per il linguaggio che è scorrevole e piano, ma per la frantumazione didascalica che, contrariamente al solito, evidenzia gli alberi e appanna la foresta. Per intendere lo spirito da cui scaturisce il Catechismo può esser utile rifarsi a un'osservazione del cardinale Ratzinger proprio a proposito del Concilio: "Il problema degli anni sessanta era di acquisire i valori migliori espressi da due secoli di cultura liberale. Ci sono infatti dei valori che anche se sono nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto, depurati e corretti, nella sua visione del mondo. Questo si è fatto. Ma ora il clima è diverso, è molto peggiorato rispetto a quello che risultava un ottimismo forse ingenuo. Bisogna cercare nuovi equilibri". Credo che nel definire l'operato del Concilio dal punto di vista del suo significato storico, il cardinale avesse sostanzialmente ragione. La Chiesa docente si è proiettata soprattutto a fare i conti con le libertà dei moderni e con la democrazia. La conclusione si presenta invece alquanto opinabile. Sembrerebbe che la Chiesa sia andata fiduciosa e ingenua incontro al "secolo" rivelatosi più cattivo del previsto; mentre è possibile che le parole che la Chiesa ha cercato di dire in Concilio si riferissero a una situazione che non è più e forse non era più, già allora, quella cui i Padri facevano riferimento. I problemi non erano più quelli posti dalla rivoluzione liberale e democratica, ma piuttosto quelli dell'indirizzo della democrazia e dei suoi contenuti; in ultima istanza, quelli del destino storico dell'uomo o, per dirla in linguaggio ecclesiale, del significato della storia rispetto al "Regno". Nella stessa Chiesa conciliare le posizioni dei "progressisti" come quelle dei "conservatori" sembrano vivere soprattutto il dilemma autorità-libertà. Mentre oggi il dilemma più acuto si presenta fra libertà e valori, tanto personali che sociali: in un mondo che, almeno a parole, esalta la libertà come valore assoluto, senza troppo curarsi dei valori; e talora, come era nel comunismo realizzato, afferma valori magari presumendo di imporli, senza curarsi della sola condizione che li fa autentici. Il nuovo catechismo nasce non solo come esigenza di riaffermare la "verità" di cui la Chiesa è custode. Ma anche come reazione ai due mali che la Gerarchia, soprattutto romana, ha individuato nel post-Concilio. Da un lato la secolarizzazione vissuta come scristianizzazione, che ha visto scemare la pratica religiosa e allentarsi e talora essere messi in discussione i vincoli morali che dovrebbero caratterizzare la vita cristiana. Dall'altro la tensione utopica che ha sollecitato in parte verso la teologia della liberazione. Di qui la riaffermazione pressoché totale della precettistica che riguarda la condotta personale: basti pensare alla sessualità e alla famiglia, dalla contraccezione al divorzio e all'aborto. Tutte materie sulle quali il Catechismo si rivela intransigente e per le quali considera doverosa da parte dello Stato una legislazione restrittiva.
Sul secondo versante, la questione è più complessa. Per anni, il problema assillante della Chiesa è sembrato il possibile cedimento agli allettamenti palingenetici del comunismo. La crisi che ha investito su scala mondiale le forme storiche del marxismo e la delusione che ne è seguita nel constatare che anche nei paesi "liberati" le aspirazioni consumistiche han fatto aggio sulla "libertà cristiana", non hanno trovato ancora una interpretazione convincente e stabile. Il Catechismo mi pare del tutto omogeneo all'impostazione ratzingeriana tesa a separare il mondo della storia dalla prospettiva cristiana del "Regno". Non solo nel senso ortodosso, per così dire, del riconoscimento del limite creaturale che non consente all'uomo di por fine alla storia conquistando il paradiso in terra, ma nel considerare le strutture mondane come luogo del peccato, destinate perciò a rimanere estranee alla storia della salvezza, fin quando la Grazia divina non riassuma tutto in sé. Le strutture mondane, pertanto, in via ottimale si dovrebbero conformare alla morale naturale interpretata dalla Chiesa, mentre in via subordinata la Chiesa può stabilire con esse compromessi a vari livelli.
In questa direzione sono significativi i due punti sui quali si è immediatamente sviluppata la critica dei cristiani più esigenti: la pena di morte e la guerra. La difesa della vita, intransigente nei confronti della persona sino a ritenere contro natura i metodi contraccettivi, transige invece nei confronti dell'ordine interno e del supposto ordine internazionale. Sarebbe probabilmente eccessivo e anche ingenuo pretendere che un catechismo universale scomunicasse i governi che ammettono la pena di morte, o chiunque, in qualsiasi circostanza, entrasse in una guerra. Ma se la maturazione storica delle società umane non è ancora giunta a ripudiare in via di principio queste violenze di stato, è pur vero che un processo in questa direzione è iniziato: ma il Catechismo sembra ignorarlo. D'altra parte, se il Concilio non aveva bandito la guerra è anche vero che Giovanni Paolo II, in occasione della guerra del Golfo ha pronunciato parole che tutti hanno interpretato non solo come ripudio di "quella" guerra, ma come un rifiuto di principio. Anche se bisogna riconoscere che a quel punto egli è apparso pressoché isolato rispetto ai governi dell'Occidente, come pure tra i suoi stessi ministri e in moltissima parte dei suoi fedeli.
Se il cristiano armato della fede è sollecitato alla virtù sino al coronamento rappresentato dal "Discorso della Montagna", le istituzioni restano consegnate al peccato originale, sono irredimibili, o almeno sembrano irredimibili dal momento che tutto lo sforzo, tutte le sofferenze (certo insieme a tutte le prevaricazioni e gli errori) che hanno contrassegnato l'umanità nella storia risultano praticamente estranee, inafferenti. Tanto più sono assenti le contraddizioni che hanno caratterizzato la vita della cristianità. Anche un superficiale confronto con il dimenticato Catechismo olandese rivela questa assenza.
Direi che l'insoddisfazione che in qualche modo residua alla lettura di questo "cammino di verità" che un catechismo rappresenta per un credente, è riassumibile in questa assenza della storia che è in qualche misura paura della storia. Un'assenza che tanto più colpisce in quanto, di là dalle proposizioni pastorali, di là dai limiti stessi denunciati da Ratzinger, il Concilio ha rappresentato viceversa una reimmissione della Chiesa nella storia come pure della storia nella prospettiva della Chiesa. Lo stesso riavvicinamento del Concilio ai testi biblici dell'Antico Testamento ne è la riprova: tutta la Bibbia non è forse il racconto di Dio che si manifesta e in certo senso vive attraverso l'umanità?
Un tale giudizio può apparire tanto drastico quanto generico. Il fatto è che nel Catechismo il Concilio risulta come imbalsamato e riflette piuttosto la condizione problematica del cattolicesimo. E il centro della difficoltà, risalendo ai principi, sembra tuttora consistere nell'antropologia, il grande nodo del pensiero cristiano oscillante fra Pelagio e Agostino, fra Lutero e il Concilio di Trento. Il Catechismo riproduce, mi pare, la linea mediana della Controriforma. Ma forse questa non è più pienamente adeguata per resistere alle sfide della modernità, così al soggettivismo, che si sfrangia nel principio egoistico del piacere, come all'ansia di liberazione che tuttavia residua dopo il crollo del comunismo.

recensione di Costa, E., L'Indice 1993, n. 5

Un massiccio tomo di 788 pagine, che da novembre scorso è già stato venduto in centinaia di migliaia di copie (in Italia, e altrettanto ad esempio nella "laica" Francia); 2865 brevi paragrafi e assiomi riassuntivi; migliaia di citazioni dalla Bibbia, dai concili, dai papi, dal diritto canonico, dalle liturgie, dagli scrittori ecclesiastici (II-XIX secolo). Un 'compact book' dall'aria imponente, simile a una banca dati, a una summa o a un moderno dizionario enciclopedico. Il titolo ("Catechismo della Chiesa cattolica") sottolinea il suo carattere di compendio dottrinale di ciò che il cattolicesimo odierno insegna, come appartenente alla fede che professa e alla sua rielaborazione teorico-pratica. Siamo dunque lontani da un bignamino della dottrina cristiana, che possa ricordare il libriccino del catechismo di infantile memoria. Tantomeno è prevedibile un suo (peraltro disagevole, data la mole e il peso) utilizzo in un incontro odierno di catechesi, sia con piccoli sia con grandi. Siamo di fronte a un grosso contenitore, in cui è stata imballata l'"esposizione organica di tutta la fede cattolica" (n. 18), suddivisa in quattro parti (la professione di fede, i sacramenti della fede, la vita della fede, la preghiera nella vita della fede). Il battage pubblicitario che ne ha accompagnato la prima uscita, a Parigi e a Roma particolarmente, indica che i vertici del cattolicesimo odierno vi attribuiscono estrema importanza. Lo considerano espressamente un punto, o testo di riferimento per ogni altro catechismo, e una norma sicura per l'insegnamento della fede oggi. Dunque, si direbbe, non un volume da leggere pagina per pagina, ma un tomo da consultare secondo i vari servizi che esso offre: impianto generale, suddivisione della materia, svolgimento di un singolo tema, collegamento fra temi affini, citazioni, riferimenti e indici analitici. L'immagine che ne risulta è quella di una robusta intelaiatura, di una mano ferma, di un pacifico dominio su vasti possedimenti, i quali si estendono alla gran parte dei problemi religiosi che possono interessare oggi un credente - o anche un non credente, curioso di conoscere meglio l'universo mentale cattolico. Il linguaggio è specifico, inevitabilmente tecnico, ma non criptico. Tutto questo potrebbe, almeno in parte, spiegare l'imprevisto successo editoriale di questo catechismo anni novanta.
Mentre dal Concilio di Trento era nato (1566) il cosiddetto "Catechismo romano" o 'ad parochos', i due ultimi concili, Vaticano I (1869-70) e Vaticano Il (1962-65) non avevano prodotto nulla di simile. Di un progetto di catechismo si era discusso nel Vaticano I, ma senza risultati pratici. Del Vaticano II, Paolo VI disse che i testi stessi di questo concilio erano il "grande catechismo odierno". A dire il vero, nel 1971 la Santa Sede ha pubblicato un Direttorio catechistico generale, che però non ha avuto particolare risonanza. Durante il sinodo dei vescovi cattolici del 1985, non senza iniziative di ambienti curiali conservatori, rispunta e si afferma l'idea di un catechismo odierno. Esso è costato sei anni di lavoro, nove successive redazioni, 24.000 proposte di correzioni da parte dei vescovi (ma non si sa se e in che modo il testo definitivo ne abbia tenuto conto).
Tra la fine del Vaticano Il e gli anni ottanta diverse chiese europee avevano espresso un loro catechismo. Vanno ricordati: nel 1966 il noto Catechismo olandese, nel 1977 quello francese ("Pierres vivantes") e, nell'arco degli anni settanta, i vari catechismi italiani. Questo catechismo, detto tout court "della Chiesa cattolica", è dunque unico nel suo genere, dopo quello tridentino sopra citato. È inutile cercarvi l'eco diretta del lavoro teologico postconciliare, dei problemi dibattuti in questi ultimi trent'anni. Mentre i suoi contenuti sono formati da abbondanti citazioni bibliche e conciliari, il suo impianto e le sue preoccupazioni sono debitori della teologia neoscolastica e del Concilio Vaticano I, eredi dunque del mondo fine Ottocento. Questo è perciò uno degli impianti possibili, peraltro plausibile, ancorato com'è a uno schema tradizionale di stampo catechetico, corrispondente alle quattro parti già citate: il "Credo", i sacramenti, i comandamenti, il "Padre nostro". Naturalmente, la griglia prescelta per dare ordine a tutta la complessa materia è sempre significativa di scelte implicite, di determinate preferenze per accenti, sviluppi, priorità, articolazioni di un certo tipo.
È facile notare che, ad esempio in rapporto con il catechismo tridentino, il quale privilegiava di gran lunga il tema dei sacramenti, qui il primo punto ("Credo", ossia ciò che è oggetto della fede) passa avanti a tutti gli altri. È difficile evitare l'impressione di una volontà chiarificatrice e di rimessa in ordine di uno dei settori oggi più caldi (l'altro è quello della mora, cfr. sezione "comandamenti"). Potrebbe anche, questa intenzione restauratrice, essere la spiegazione più generale e più determinante di tutta l'operazione-catechismo. Al punto che proprio qui si annidano gli interrogativi, sollevati ormai da più parti. Il testo si presenta come una voluminosa e dettagliata redazione di ogni possibile tema riguardante la fede. Questa volontà di completezza sembra voler sbarrare la strada a qualsiasi intervento fuori dalla linea. Nulla è passato sotto silenzio. Con questo testo pare ora doversi confrontare chiunque, fra i credenti, faccia professione di teologo, di catechista, di predicatore, o anche più semplicemente chiunque desideri comprendere più a fondo ciò che crede. Un punto, dunque, di non ritorno? Una sorta di ultima parola? Quale sarà ora lo spazio per la ricerca e il dibattito? I conflitti recenti (ad esempio sulle teologie della liberazione o su determinati interrogativi etici) vanno considerati risolti? Le possibili controversie (suscitate ad esempio dal graduale formarsi delle nuove teologie continentali, africane e/o asiatiche) hanno soluzioni già pronte? Quale sarà d'ora in poi il ruolo di un teologo che non voglia ridursi a un semplice ripetitore o chiosatore di questo catechismo?
Sembra difficile, peraltro, ammettere che poco meno di 800 pagine vadano lette e comprese, da parte di un credente fedele, come se avessero tutte lo stesso peso, la stessa autorità. Non vi sono segnali, nel testo del catechismo, che aiutino il lettore medio a individuare pesi e misure, assi portanti e derivazioni. Fra le acquisizioni più utili della tecnica dell'interpretazione teologica vi sono le cosiddette "note teologiche": un procedimento che, fondandosi su solidi motivi, individua l'autorevolezza di un'affermazione riguardante la fede, dalla semplice opinione su fino al pronunciamento dogmatico, passando attraverso una gamma di valutazioni intermedie. Nel 'compact book' del catechismo solo un conoscitore agguerrito saprebbe orientarsi, e ci si interroga quale sia, a tale riguardo, l'intenzione degli autori e dei proponenti. Chi non sa o non può, riceve l'integrale della dottrina come conglomerato compresso e praticamente inossidabile. "Aria!", esclamerebbe forse un Giovanni XXIII (non a caso pochissimo citato, tanto quanto Pio XI, una citazione in meno rispetto a Leone XIII e una sola in più di un oscuro papa avignonese del secolo XVI, Benedetto XII)! La pubblicistica massmediale, nell'impatto con il "nuovo" catechismo, non ha saputo far meglio che andare a caccia di farfalle, spulciando la sezione etica per vedere se i peccati erano gli stessi di prima o se invece erano cambiati. Servirebbe decisamente di più una pacata rilettura dell'insieme da parte di chi - laico non appartenente - può avere occhio soprattutto per le nervature di pensiero, che formano la scaffalatura di questa minibiblioteca cattolica, e anche di chi - credente impegnato - ha a cuore non solo la sicurezza della propria fede, ma anche il suo dinamismo personale e il suo impatto con la storia degli uomini.
È difficile prevedere quale sarà la sorte effettiva di questo, certo, notevole sforzo di assemblaggio, se non di sintesi: oggetto di ritraduzione nelle culture teologiche delle chiese, dal primo al terzo mondo? modello di metodologia teologica e catechistica? monumento venerabile, a cui non si darà altro onore che quello della reverente memoria? test di fedeltà dottrinale e possibile strumento di discriminazione? Al di là dell'attuale momento celebrativo, occorrerà osservare se si sia trattato di un gesto fecondo e dinamizzante, o invece di un ripiegamento prudenziale e difensivo.

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