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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Finalista al Premio Campiello 2019. Finalista al Premio Napoli 2019.
Con uno sguardo che ricorda Saramago e Bolaño, Carnaio è un incubo di carne e soldi, la profezia di un mondo prossimo, in cui l'ultimo passo verso l'abisso è già alle nostre spalle.
«Carnaio riflette sul rapporto tra noi e loro. Tra noi, abitanti di un occidente meta e sogno di tanti, e loro, fuggitivi, i disperati che scappano da privazioni e violenze sperando in una vita migliore» - L'Osservatore Romano
«Giulio Cavalli gioca con il macabro e il grottesco, e immagina, impiegando anche il proprio talento di uomo di teatro, un porto investito da centinaia di migliaia di cadaveri di "stranieri". Che diventano una risorsa economica» - La Lettura
"DF è il centro del mondo che scivola verso l'orrore"
Giovanni Ventimiglia è un pescatore, da tutta la vita raccoglie nelle sue reti acciughe e granchi, anche se negli ultimi anni il mare è diventato avaro e sulla sua piccola nave non ha più un equipaggio. Il pesce lo vende nel mercato di DF, un paesino aggrappato alla costa come tanti, con un parroco che fa la predica ma va a puttane, un sindaco che è padre di sindaco, un'emittente locale che scalda i cuori delle casalinghe con il suo conduttore brizzolato. Ma un giorno di marzo Giovanni attraccando al pontile trova un cadavere, un uomo che in ammollo dev'essere stato per giorni, un ragazzo non di quelle parti, forse dell'Est o del Sud, uno di colore comunque. E dopo di lui, i ritrovamenti di cadaveri sbiaditi dall'acqua, tutti giovani, tutti neri si susseguono, senza che le autorità locali riescano a trovare un filo, cumuli di cadaveri da seppellire, identificare, gestire. E da DF chiedono aiuto, ma da Roma prendono tempo, impongono accertamenti, tanto che, per non venire sommersi, i cittadini saranno costretti a escogitare un sistema per affrontare l'emergenza, e poi nel tempo trasformarla in profitto.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non so bene dire che impressione mi abbia lasciato questo libro. Nella parte iniziale qualcosa, forse la scarsa punteggiatura, mi ha ricordato la scrittura di Saramago, un flusso indistinto di narrativa e dialogo che lascia presagire l’inizio di una catastrofe. Poi però il libro prende inaspettatamente una piega macabra, ad inasprire quel senso di disconnessione, quella indifferenza che si fa atrocità governata, organizzata. Credevo che l’autore volesse insegnarci qualcosa sull’indifferenza che viene manifestata nei confronti dei migranti, che non vengono trattati come esseri umani, poi non sono riuscita a capire come mai il libro abbia preso una piega di stampo quasi nazista. Forse è lo scossone di cui abbiamo bisogno per svegliarci dal torpore dell’ignoranza.
L'incipit del libro fa presagire che si tratti di un giallo, di un omicidio da risolvere, ma poco più avanti si capisce che non è così. Il dramma che vi si cela è molto più profondo e estremizza un grande problema sociale di oggi, ovvero quello dei migranti. Un libro molto duro, a partire dal titolo che è esplicativo della condizione umana in cui potremmo scivolare, se non lo abbiamo già fatto.
Un romanzo davvero "disturbante", che può essere letto come una nemmeno tanta malcelata denuncia della nostra società consumistica, egoistica, discriminante, massificata, decadente. L'onda di cadaveri dalla pelle scura che sommerge DF è terribililmente inquietante. A fine libro vi è anche un profetico riferimento al COVID19 (mascherine, guanti, distanziamento sociale). Echi di Saramago e Marquez, e soprattutto lo scarso utilizzo della punteggiatura e dell'abuso di periodi lunghi anche una pagina, me lo hanno reso un pò indigesto, anche se comunque il libro si legge tutto d'un fiato in poche ore.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un autore stilisticamente impersonale, ma che sa quello che vuole, facendo emergere le voci e i punti di vista dei diversi personaggi. Una cittadina di pescatori, una specie di Aci Trezza catapultata nel presente, una ferocia che si nutre di combustibili in voga come il terrore del diverso, il cinismo, l’egoismo. Teatro, politica, narrativa, giornalismo: Giulio Cavalli – da una decina di anni sotto scorta per le minacce della ‘ndrangheta – ha più di un modo per portare avanti messaggi non molto in voga nell’Italia di oggi. Il suo ultimo romanzo, Carnaio (218 pagine, 17 euro), pubblicato da Fandango Libri, è solo l’ultimo foglio che mette in bottiglia e affida a chi vorrà leggere, a chi vorrà stare ad ascoltarlo, con quel po’ di coscienza che resta,
A DF, cittadina sul Mediterraneo ma anche piuttosto universale, proscenio del romanzo di Cavalli, le onde del mare consegnano cadaveri sulla riva, prima pochi, poi innumerevoli, tutti uguali, quasi dei cloni. Attirando velocemente l’attenzione mediatica, le telecamere di mille tv. Si fa in fretta a smarrire l’umanità a DF, si chiede aiuto al governo centrale, che nicchia, non sa e non dice come affrontare l’emergenza. E allora il sindaco, assecondato e sostenuto, più che alla giustizia pensa a quella che lui considera sicurezza, fa di testa sua, cerca addirittura di sfruttare i corpi, di ricavarne profitto. Sgradevole, ma non irrealistico, perché l’attualità ci racconta un’indifferenza, un’ipocrisia, una meschinità e una violenza che sono solo a un passo da certe conseguenze immaginate in queste pagine, cioè quella di monetizzare, in qualche modo, l’ondata dei cadaveri, in un meccanismo perverso. Pochi, pochissimi gli appigli di umanità, messi in scena da alcuni personaggi di questo romanzo corale, che si nutre dello sguardo e delle parole di singoli in un felice e convincente intrecciarsi di voci.
Carnaio è un romanzo sul vuoto da cui siamo circondati, su un’umanità smarrita e colpevole, non semplicemente confusa, ma che ha deragliato coscientemente da qualsiasi forma di civiltà, rispetto e solidarietà. E che si scaglia contro i “diversi”, a cominciare da chi non adegua il proprio pensiero alle opinioni che sembrano essere più in voga. C’è chi si adegua, per quieto vivere, e sposa il silenzio o addirittura posizioni aberranti. In pochi resistono e non allineano il proprio sguardo e le proprie parole. Più di una metafora di quello che accade oggi intorno a noi. C’è molto realismo, a dispetto del grottesco che dovrebbe percorrere il libro di Cavalli.
Recensione di Giovanni Leti
Un corpo riverso sulla nuda terra, portato a riva dalla corrente, scuro di pelle, ringrinzito dall’acqua, irrigidito dalla morte, privo di identità. È l’emblema dell’immaginario contemporaneo: uno degli uomini perduti nel Mediterraneo, simbolo di una tragedia umana e insieme cuore di un discorso politico sempre più acceso, che divide il Nord del mondo sulla scia di due ideologie. Quali problemi vengono prima, i nostri o i loro?
Carnaio parte da quest’immagine. Un uomo scuro di pelle portato dal mare, una casualità quasi curiosa che spezza la monotona quotidianità degli abitanti di una piccola e anonima cittadina italiana, DF. Poi però ne arriva subito un altro, e un altro ancora, e alla fine quei corpi tutti uguali diventano una piaga sociale impossibile da gestire. Un’onda anomala di cadaveri.
È panico, DF ha bisogno di aiuto, ma nessuno riesce a trovare una soluzione: da Roma arrivano direttive irrealistiche, viene chiesto al sindaco di non spostare i corpi, lasciarli dove sono. E non ci si rende conto che quei morti infestano le strade, le case dei concittadini, le fogne. Non c’è tempo né modo di trattare il problema con il dovuto rispetto, l’unica soluzione è sgomberare il più rapidamente possibile le strade. Con gli spazzaneve, se necessario.
Nella disputa ideologica su chi viene prima, tra i problemi nostri e i problemi loro, Cavalli si pone dalla parte del “noi” estremizzando questa posizione in una storia grottesca, fantastica e terribilmente realistica. Gli abitanti di DF sono normali cittadini che desiderano risolvere un problema per loro concreto e urgente nel modo più rapido possibile. È irrilevante che quei cadaveri una tempo fossero appartenuti a degli esseri umani. Tanto vale maciullarne le membra, immagazzinarli in grossi capannoni, costruire un muro che li tenga lontani, fare tutto ciò che è possibile per garantire il benessere ai propri concittadini. Non è cattiveria, ma mancanza d’alternative.
Carnaio è un romanzo folle e lucidissimo, che mette in scena un crescendo di atrocità (quasi) sempre paradossalmente giustificabili. L’opera è costruita in un’inarrestabile climax ascendente: si comincia dalla reazione alla tragedia, in cui una piccola cittadina viene lasciata a se stessa da uno Stato sordo ai problemi concreti dei suoi abitanti. La cittadina allora decide di autogestirsi, e lo fa nell’unico modo possibile.
Eliminato il problema urgente – i morti fisicamente naufragati a DF – bisogna pensare a come evitare i problemi futuri. Ed ecco arrivare il muro. Questo però ormai non è più sufficiente, perché la cittadina è finita nel mirino “buonista” dell’Europa scandalizzata, e quindi l’unica soluzione è tentare di diventarne indipendenti, sopravvivere da soli sfruttando i propri punti di forza. Quei corpi, suggerisce un ingegnere, possono essere utilizzati anche per incrementare l’economia e rendere DF una nazione potente.
Intuire a priori il livello massimo di atrocità a cui conduce questo percorso richiederebbe un improbabile sforzo di fantasia. Ogni capitolo è un passo in più verso il baratro, fino a quando la situazione non sfugge definitivamente di mano e Carnaio si riduce alla grottesca parabola di uno Stato Totalitario.
La prima e l’ultima parte del romanzo sono narrati in terza persona, con uno stile grezzo, fatto di frasi infinitamente lunghe, talvolta ripetitive, piene di digressioni che ricalcano l’andamento incerto della mente umana. La seconda parte invece è narrata dal punto di vista di diversi personaggi, nella forma di pensieri espressi in prima persona, interviste e lettere, con una pluralità di toni e tratti stilistici che si adeguano alla diversità caratteriale dei singoli narratori. Diverse voci corrispondono a diversi ritmi, vari gradi di raffinatezza della scrittura e differenti reazioni alla tragedia di DF. Accettazione, sostegno, paura, abnegazione, sospetto, orgoglio, rabbia.
Al lettore non rimane che un continuo, viscerale senso di dubbio, su chi abbia ragione e chi torto, sul valore della morale e la sua inutilità pratica, sull’ipocrisia di chi pensa a loro prima che a noi e sull’egocentrismo disumanizzante di chi mette il noi prima del loro al punto da dimenticarsi che loro sono (o sono stati) persone. Cos’è più importante, un’ondata di venticinquemila cadaveri sconosciuti venuti dal nulla, o i quattordici concittadini che sono morti schiacciati dalla massa di carcasse?
Non fingete di sapere la risposta.
Anja Boato
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