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Libro scomodo. Tratta di un argomento poco affrontato dalla letteratura, e per di più lo fa dall'interno, mettendoci dalla parte sbagliata. Se lo stile risulta spesso lento e la trama non è molto varia, riesce comunque ad emozionare, anche se quello che ci da è una sensazione di sdegno e rabbia impotenti.
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Marenco, F., L'Indice 1987, n. 6
Ma non sono tutti cattivi i terroristi? E com'è che ora ne salta fuori una "brava"? Si possono avvicinare davvero due termini così distanti? E per di più in Inghilterra, di fronte a un pubblico che si è sempre considerato molto bravo perché molto alieno agli estremismi e a consimili follie, che assiste sbalordito alle offensive dei vari terrorismi sul proprio territorio, e conosce ormai a memoria il ritornello che l'attentato di ieri come quello dell'altro ieri, non sono che il segno della disperazione, della definitiva disfatta politica della violenza?
Eppure com'è brava questa Alice Mellings che riatta le case perché ci abitino i compagni, che accoglie e protegge i più deboli, che divide tutto con tutti (compresi i soldi sgraffignati al padre), che non si lascia intimorire dalla polizia, che prepara minestre inesauribili e si commuove per gli animali. Peccato che sia anche una terrorista, magari britannica dalla testa ai piedi, gelosa della propria autonomia nei confronti degli agenti stranieri, magari preoccupata di non fare troppi danni, ma pur sempre terrorista, infantilmente eccitata da ogni possibilità di protesta e di eversione.
Per Doris Lessing, la militanza di una donna in aree politiche estreme non può che dar luogo a un ossimoro, cioè alla congiunzione di due espressioni e modi di essere incongrui: tanto vuole esprimere il suo titolo, che sembra fatto apposta per mettere in imbarazzo, e c'è riuscito in pieno col traduttore francese, che se l'è sbrigata con "La terroriste", e con tanti saluti alla bontà.
Come Conrad in quello che resta il maggior romanzo in lingua inglese sul terrorismo, "L'agente segreto", la Lessing costruisce il suo intreccio sulla tensione fra l'arte modesta e aideologica della sopravvivenza, della costruzione paziente del quotidiano, e l'orgoglio eversore che pretende di mettere fine a queste piccole virtù, e a tutto il sistema di debolezze e di corruzione che le circonda, in nome di una Virtù più alta. E come Conrad, Lessing mette al centro di questo intreccio una figura femminile, che ne è congegno e vittima nello stesso tempo, la donna media della nostra civiltà, sulla quale vengono puntualmente a scaricarsi, l'una dopo l'altra, le responsabilità le difficoltà, le sofferenze che quella tensione comporta.
Rispetto all'inizio del secolo la riflessione romanzesca sulla crisi politica dell'occidente non propone una figura nuova di protagonista: a misurare il fascino e la legittimità della rivoluzione viene chiamata la donna, perché è la donna ad essere più esposta, proprio dal suo vivere e fare quotidiano, al bivio perpetuo dell'identità politica: quanto di sé conservare e quanto rifiutare, quale continuità accettare col proprio passato. Questo bivio non viene presentato come una scelta cosciente: in Alice, come nella Winnie Verloc di Conrad, la continuità col passato - il ruolo di madre-amante-genio tutelare e quant'altro - è vista come una specie di istinto, se non di necessità atavica, di cui la donna è veicolo per così dire naturale, senza mediazioni ideologiche o intellettualistiche, anzi contro l'ideologia e l'intellettualismo del movimento. (È interessante che alcune riuscite storie femminili di oggi portino in primo piano la coscienza della donna, e il problema della sua volontà, soltanto evitando il confronto con un dato esterno così vistoso come quello ideologico-politico, e anzi relegandolo fra le cose presenti ma non dette, come nella "Storia d'amore" di Maselli).
La Lessing non si pone, come invece aveva fatto Conrad, i problemi del rapporto fra terrorismo e potere dello Stato moderno, e di quale spazio sia ancora aperto oggi allo stile tragico - restando in tal modo al di qua delle decisive intuizioni del suo predecessore, per cui la spietatezza e la barbarie del terrorista hanno molto in comune con l'amore per l'ordine del borghese più dignitoso, quando non fanno parte direttamente delle sue difese, e che la vera voce tragica dell'oggi non è fatta di parole o di stili consunti, ma del silenzio che accompagna e occulta l'azione. La sua galleria di personaggi ammette il poliziotto sadico, ma come male ineliminabile, quasi parte dell'ordine naturale; e il suo intreccio ammette la tragedia, ma come conseguenza della ribellione cieca, come destino del sovversivo, e non come parto dell'ordine costituito, con una sua qualità e funzione storica.
Ciò spiega l'andamento piuttosto statico del romanzo, che presenta una grande varietà di personaggi in poche situazioni che si ripetono, riconducibili al paradigma dell'opposizione fra polo pratico-costruttivo e polo astratto-eversivo, o addirittura tra impegno umano nel presente e impegno politico per un'utopia senza contorni. Così, nel confronto fra donne e uomini, l'attivismo e la concretezza di Alice e Pat risaltano contro la ciarlataneria e il velleitarismo di Jasper e Bert, figure di falliti cronici e parassiti di prammatica in ogni romanzo sulla società inglese che si rispetti. Così l'onestà delle intenzioni di Alice, una vera sacerdotessa della rivoluzione - non beve, non fuma, ama un omosessuale che sta con lei solo perché è brava a sbarcare il lunario - si evidenzia contro l'ambiguità di un agente straniero, il cui vero sogno sembra essere una vita comoda e agiata da buon borghese. La stessa polarità si istituisce anche all'interno del mondo femminile, fra l'anima chiara della militanza che è Alice, e l'anima oscura e paranoica che è Faye, portatrice di un radicale desiderio di morte.
E quando l'universo dei diseredati bussa alle porte della comune rivoluzionaria, nelle persone di Jim il ragazzo nero, di Philip il debole senza risorse, della ragazza-madre che cerca asilo, è solo Alice che cerca di aiutarli: gli altri sono indifferenti, o, come Faye, pronti a cacciarli rabbiosamente. La stessa Alice, nel prodigarsi per loro, finisce per togliere con una mano quanto ha dato con l'altra, per la contraddizione originaria in cui si trova, e che il romanzo continuamente ripropone.
La dicotomia che lo organizza è dunque anche e soprattutto interiore, uno stato d'animo: è il senso di colpa che prova Alice di fronte ai compagni che tornano dalla dimostrazione o dal picchettaggio, lei che è rimasta a presidiare la casa per salvarla dai demolitori, è la "divisione e confusione" che sente nei rari momenti di scambio con "la gente comune", è la rabbia contro la madre, colpevole solo di vedere chiaro nella sua situazione, è la corrente di derisione che l'attraversa di fronte al benessere di un quieto pomeriggio di primavera in periferia, insieme a quell'altra corrente "di desiderio", di bisogno che fluiva parallela a questo sentimento, del tutto indipendente da esso". È anche la divisione che c'è in tutti i suoi compagni, e che si esprime nelle due lingue che ciascuno sa parlare, l'inglese "buono" dell'élite intellettuale accanto ai gerghi sapidi della marginalità. (La Lessing ha un orecchio formidabile per la lingua colloquiale, dove questa buona traduzione riesce spesso a seguirla).
Un così puntuale equilibrio di contrasti può essere sostenuto soltanto da un altrettanto puntuale gioco di punti di vista, e la Lessing è maestra riconosciuta di questa tecnica. Si vedano certi momenti notevoli in cui la forza di persuasione delle formule estremistiche e il sospetto che esse generano nel lettore "normale" sono presenti simultaneamente, in un unico discorso: tutto dipende soltanto da chi ascolta, e da come ascolta.
Attrezzato per mettere a nudo le contraddizioni dell'estremismo, è chiaro tuttavia che il romanzo non lo è per esprimere il radicalismo e l'assolutezza dell'ipotesi terroristica, che difatti viene relegata fra gli incidenti di percorso, frutto insieme dell'incoscienza degli esecutori e delle macchinazioni di poteri oscuri e inafferrabili. Al contrario di quanto ci promette il risvolto di copertina, Lessing non si pone affatto la domanda del perché una donna "generosa" come Alice diventi terrorista: come la sua militanza, la sua partecipazione a un attentato rimane un dato irriflesso e infantile, un caso di maturazione mancata; tant'è vero che ancora alla fine la troviamo in attesa, come "una povera bambina", della resa dei conti con il mondo sconosciuto e favolosamente abile dei "professionisti".
Insufficienti nel resto del romanzo, le potenzialità tragiche si concentrano tutte nell'alter ego di Alice, la folle, la sanguinaria, la mortifera Faye. Di lei, della sua rabbia come della sua fine, intuiamo tutti i perché, e non c'è dubbio che sia lei, contro la stessa volontà dell'autrice, ad emergere come vera protagonista: non la brava terrorista, ma la terrorista cattiva.
Perchè una donna come Alice Mellings diventa terrorista? Un romanzo coraggioso e di grande impatto in cui Doris Lessing dispiega le sue straordinarie doti di narratrice per addentrarsi con umanità e intelligenza in una materia delicata e ancora bruciante. Doris Lessing, una delle figure più anomale della letteratura inglese in questo secolo, è nata nel 1919 a Kermanshah in Iran. Fino all'età di trent'anni è vissuta nella Rhodesia del Sud (oggi Zimbabwe), all'interno di una comunità storicamente privilegiata nell'ambito di un mondo coloniale strutturato in piccole comunità chiuse quasi prive di comunicazione reciproca e avvelenato da contrasti e da pregiudizi razziali. L'insofferenza di quell'ambiente di vita l'ha spinta nel 1949 a trasferirsi in Inghilterra, alla ricerca di un mondo e di una cultura meno irrigiditi, tali da consentire al suo talento di scrittrice lo spazio e il respiro che in patria non le sarebbero stati concessi. La sua prima fase creativa si è rivolta soprattutto a filtrare da lontano, a distanza di tempo e di spazio, le esperienze dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza in terra africana.
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