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Anno edizione: 2010
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Questo breve e agile saggio ha il merito di far luce sulla personalita’ del fratello minore di Maximilien Robespierre, il principale esponente del Terrore giacobino. Quest’uomo si chiamava Augustin Bon Joseph de Robespierre, soprannominato scherzosamente Bonbon, era un deputato della Convenzione repubblicana e, come Maximilien, mori’ sotto il colpo della ghigliottina il 28 luglio 1794. Tuttavia, non si sarebbe meritato di fare quella tragica fine perche’, a differenza del fratello, egli rifiuto’ la violenza come strumento di potere e avendo ricevuto l’incarico dal governo di recarsi in missione nei villaggi del sud della Francia, lontano dalla capitale, aveva visto con i suoi occhi l’ingiustizia subita da uomini, donne e bambini condannati e incarcerati per il solo fatto di essere rimasti devoti ai preti refrattari che si erano rifiutati di giurare fedelta’ alla Rivoluzione e li aveva fatti scarcerare. Il libro non solo rende giustizia a questo protagonista meno noto della Rivoluzione francese su cui non era ancora stata scritta una biografia, ma immerge il lettore, attraverso testimonianze dirette, per esempio le lettere di Augustin al fratello Maximilien, nella cupa e insensata ferocia del Terrore rivoluzionario,
Libro interessante che, oltre ad illustrare il periodo del Terrore, presenta una figura poco nota, ovvero quella di Augustin Robespierre, il quale condivise volontariamente la sorte del più celebre fratello Maximilien. Una lettura piacevole ma al tempo stesso intrigante. Libro consigliatissimo ad appassionati di storia.
Testo interessante, molto accurato e con una bibliografia estremamente dettagliata. In un centinaio di pagine, l'autore ci offre uno scorcio della Rivoluzione Francese e del regime del terrore di Robespierre dal punto di vista del fratello minore, ben meno noto e mai citato nei libri di storia. Augustin, avendo vissuto il Terrore vero, sul campo, e non il "Terrore di Carta" di Maximilien, dalla fine del 1793 fino ai suoi ultimi giorni cercherà di convincere il fratello, invano, che l'unico modo di salvare la Rivoluzione sarebbe stato fermarla: eliminare una volta per tutte "il robespierrismo di provincia [...], un tumore maligno nel corpo sano della Rivoluzione".
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