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Trama non coinvolgente. Eccesso di dialetto. Finito con fatica.
Partendo da un fatto di cronaca della Sicilia post riunificazione, Camilleri confeziona questo romanzo come sempre ricco della sua nota ironia. La vita di un paese siciliano viene sconsquassata da una rappresentazione teatrale che metaforicamente rappresenta le imposizioni del nuovo stato unitario. Un vortice di diversi dialetti e diverse abitudini nel comunicare rende l'idea della diversità della Sicilia dal resto dell'Italia. Veramente originale la non consequenzialità dei capitoli, il cui inizio è sempre un rimando ad altre opere letterarie sicuramente care all'autore.
Camilleri non delude mai, specialmente nei suoi romanzi storici o di costume dove riesce a mettere in mostra tutta la sua fine ironia e la feroce critica finale a come la storia o le storie vengano poi riscritte a posteriori travisando completamente la realtà.
Recensioni
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scheda di Roat, F., L'Indice 1996, n. 1
(scheda pubblicata per l'edizione del 1995)
Seguendo l'ormai palese intento programmatico di voler ancorare il proprio realismo onirico alle fondamenta dei dati storici, anche l'ultima cronaca romanzesca ordita da Camilleri - alla pari del racconto "La stagione della caccia" e del saggio "La bolla di componenda" - trae spunto dalla nota inchiesta parlamentare sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, condotta negli anni 1875-76. L'occasione narrativa si basa quindi su un fatto realmente accaduto, ossia la serie di incidenti e tumulti conseguente alla decisione da parte del prefetto di Caltanissetta dell'epoca (d'origine toscana) d'inaugurare il nuovo teatro con l'opera lirica "Il birraio di Preston*, scialbo melodramma inviso ai siciliani forse ancor più di quel rappresentante governativo "forestiero". Ma, prese le mosse da quei clamori ottocenteschi peraltro davvero teatrali, nel prosieguo il romanzo decolla dalle sue basi storiche per impennarsi nei più liberi spazi dell'invenzione narrativa, assumendo quasi i registri della commedia in prosa (godibilissimi i dialoghi all'insegna dei neologismi più audaci, giocati sul recupero di una vernacolarità espressionistica, gradevolissima la comicità di motti, lazzi, voci di popolo che fan da bordone al recitativo dei protagonisti), anzi del libretto d'opera buffa, venata tuttavia di tragedia, poiché ai brani più ilari - intorno a corna e amori galeotti - si alternano capitoli drammatici sull'intreccio tra politici e mafiosi, e pagine inquietanti su terroristi, attentati, lettere delatorie e omertà. In quest'ottica, "Il birraio" si può leggere quale impietosa farsa amara, con cui Camilleri castigat ridendo mores, stigmatizzando i modi d'essere esecrabili d'una Sicilia non certo solo di ieri.
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