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Recensioni Birra scura e cipolle dolci

Birra scura e cipolle dolci di John Cheever
Recensioni: 5/5
«Leggere Cheever mi fa sentire come se facessi parte di un mondo d’improvviso interessante, di un paradiso, o perlomeno di un mondo che paradiso lo è stato o potrebbe esserlo.» - John Updike

«Cheever è il Cechov dei sobborghi» - Elmore Leonard

«Chi conosce e ama i racconti di Cheever conosce il fascino della stringatezza, l’incanto della sospensione. Una sobrietà che deplora svolte melodrammatiche, e si comprime in una feroce essenzialità. C’è un’intensità quasi insostenibile in ogni riga di Cheever. Un’intensità che potrebbe essere la causa della sua sofferenza privata e del suo pubblico successo.» - Alessandro Piperno

John Cheever scrive questi racconti tra i venti e i trent'anni. Sono short stories imbevute di idealismo e della sua necessaria scia di disillusione, giovanili eppure di uno scrittore già formidabile e formato, da principio pubblicate su riviste di sinistra con tirature risibili e poi via via su magazine sempre più alla moda come Cosmopolitan e Collier's. Non siamo ancora alle cronache minute di ciò che succede dietro i prati perfettamente falciati e le staccionate imbiancate di fresco, ma tra commessi viaggiatori al tramonto dei loro giorni di gloria e marxisti puritani che osservano gli altri bere e divertirsi mentre loro immaginano un'umanità nuova. Parteggiamo per la rivincita di una spogliarellista in là con gli anni e subito dopo assistiamo agli innumerevoli piccoli fallimenti di giocatori d'azzardo sempre alla ricerca di un'ultima opportunità, di un cavallo finalmente vincente e di una felicità mai raggiunta e sempre inseguita con la pervicacia di un baio adombrato. È l'onda lunga della Grande depressione post '29, un'America che va imparando il sapore della nostalgia per un'era mai vissuta e un'innocenza tutta da perdere. Cheever accarezza grazia e peccato, muovendosi tra case sfitte, inquilini che non pagano la pigione e torchi fermi da troppe stagioni. E così incontriamo zingari ubriaconi travestiti da pellerossa e cameriere disposte a ogni sgambetto pur di tenersi strette lavoro e dignità. Incontri che, come sostiene Christian Raimo nell'introduzione, ci ricordano perché vale la pena leggere.)
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