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recensione di Vineis, P., L'Indice 1994, n. 7
Per quanto molte distinzioni tradizionali in campo ideologico - si pensi a "progressista/conservatore" - siano divenute più complesse o si siano annebbiate, penso che una debba sussistere e discrimini due campi nettamente diversi. Tale distinzione è tra chi pensa che la conoscenza scientifica e il progresso tecnologico abbiano la priorità su altre attività e manifestazioni umane (e ne debba dunque essere preservata l'autonomia), e viceversa chi ritiene che usi e sviluppi dei risultati delle scienze facciano parte di quel medium rappresentato dal linguaggio e dalla coscienza comuni. Per riprendere le tesi di Gadamer ("Verità e metodo"), l'uso sociale della scienza, e la stessa interpretabilità dei suoi risultati, non dipendono solamente dalla verifica empirica delle loro proposizioni, ma da una riconduzione alla coscienza comune e anche a decisioni di tipo etico. Questa discriminazione è particolarmente acuta nel caso della medicina. Negli ultimi decenni non solo la tecnologia medica ha fatto passi da gigante, ma soprattutto ha generato aspettative di successo e creato un'ideologia intorno a sé che si possono a ragione definire "scientiste".
In realtà tale ideologia non trova una solida giustificazione sul piano pratico. In primo luogo essa si basa su un diffuso equivoco: poiché la nuova medicina fa uso di strumenti fisici estremamente sofisticati (caratterizzati da un errore di misura nell'ordine del miliardesimo), allora si ritiene che essa sia dotata di straordinaria efficacia diagnostica e terapeutica. Benché di questo pregiudizio abbondino i rotocalchi, anche grazie all'attività di autopromozione svolta dall'industria sanitaria, esso è facilmente attaccabile. Nel caso dei tumori, per esempio, le concrete possibilità di cura si sono pochissimo modificate negli ultimi decenni, nonostante l'uso di tecnologie diagnostiche avanzate come la risonanza magnetica nucleare. Addirittura, sta emergendo il fondato sospetto che almeno per alcuni tipi di tumori - per esempio quelli della prostata - la reale ricaduta della tecnologia sia consistita in un aumento del numero di casi diagnosticati senza modificazioni della mortalità, cioè senza un reale beneficio per la popolazione ("The Lancet", 29 gennaio 1994). Il fatto che l'introduzione di tecnologie avanzate possa non tradursi in un beneficio per la popolazione non deve stupire. Deriva semplicemente dalle conoscenze ancora scarse sulla biologia di molte malattie, inclusi i tumori, e dalla incommensurabilità tra sistemi biologici e sistemi fisici (quelli cioè che costituiscono il substrato delle tecnologie diagnostiche).
Se si riconosce che affidarsi al progresso tecnico-scientifico - magari celebrandone i dubbi trionfi - senza inserirlo in un contesto di significati e di valori condivisi nella società rappresenta un grave pericolo, allora diventa urgente colmare il divario che attualmente esiste tra la velocità con cui tale progresso avanza, e la velocità molto minore con cui procede la riflessione etica sulle sue conseguenze. Consapevole di questa doppia velocità, e spesso proprio incentrato sulle preoccupazioni che essa ingenera, è il libro di Sandro Spinsanti. Si tratta di un libro molto utile, in quanto presenta in modo chiaro ed equilibrato diverse concezioni etiche, e offre numerose informazioni su temi abitualmente non trattati nei libri di bioetica. La bioetica perlopiù si occupa, infatti, di argomenti eclatanti come l'ingegneria genetica o la riproduzione artificiale, oppure dei temi su cui si è più concentrata l'attenzione della tradizione cattolica, come l'aborto o l'eutanasia A partire dal titolo, Spinsanti chiarisce che egli intende dedicarsi soprattutto ai problemi etici legati all'assistenza sanitaria come diritto dei cittadini. Il carattere equilibrato del libro deriva in parte dal pluralismo etico che vi traspare - nonostante la chiara collocazione in ambito cristiano dell'autore -, in parte dal tentativo di superare alcune dicotomie che affliggono la materia. Una di queste è, per riprendere le parole di Stephen Toulmin, quella tra l'"etica di estranei" e l'"etica degli intimi". La prima è quella fredda e rigorosa del diritto, che sancisce i limiti delle prestazioni che debbono essere fornite in casi analoghi a cittadini astratti (un'etica di tipo protestante). La seconda è invece l'etica dominante nei sistemi culturali basati sull'"appartenenza" (un'etica di tipo cattolico). La stessa distinzione viene proposta dall'autrice femminista Carol Gilligan quando parla di concezione logico-deduttiva e di concezione ''relazionale" della giustizia.
Questi temi diventeranno sempre più importanti e urgenti nel prossimo futuro. Scelte radicali nel campo della Sanità sono dettate non solo dalle mode ideologiche (il neoliberismo avanzante), ma anche da alcuni dati di fatto comuni a diversi paesi occidentali: la crescita delle spesa sanitaria a fronte di una crescita molto modesta dell'efficacia della medicina, in termini di miglioramento della salute collettiva. In riferimento agli Stati Uniti, questo divario tra spesa ed efficacia è stato definito come "la forbice perversa". Per affrontare in modo risolutivo il problema occorre agire su entrambi i versanti, quello dell'efficienza - in termini di produttività del sistema sanitario - e quello dell'efficacia - in termini di reale e dimostrata capacità delle terapie nell'influire positivamente sul decorso della malattia. Entrambi i versanti (efficacia ed efficienza) comportano un riferimento a modelli etici di allocazione delle risorse. Per esempio, il modello tradizionale sottostante ai Servizi sanitari nazionali, consistente nel garantire tutte le prestazioni a tutti, è ormai chiaramente incompatibile con i costi crescenti e i "benefici marginali" decrescenti (cioè un'efficacia aggiuntiva sempre più modesta delle nuove terapie rispetto alle vecchie).
Ma se qualche razionamento deve essere applicato, su quali criteri dovrà basarsi? Mi sembra che il parere di Spinsanti, che certamente condivido, è che prima di affidarsi ciecamente alle presunte capacità regolative del mercato oppure a tm razionamento basato sul reddito sarebbe meglio pensare a garantire in modo esplicito e uniforme a tutti, attraverso una regolamentazione, le prestazioni di provata efficacia. Un tentativo del genere; per esempio, è in corso di attuazione da parte del governo olandese, sulla base di un esplicito riferimento ai principi di equità distributiva, di responsabilità sociale e di solidarietà. Come si esprime Spinsanti, la tradizionale riluttanza da parte dei medici a considerare gli aspetti relativi alle spesa sanitaria (un atteggiamento di disimpegno) "rischia di rivelarsi estremamente controproducente dal punto di vista delle stessa etica medica ". "Tra le domande scomode, che dobbiamo avere il coraggio di formulare, c'è quella relativa alle priorità. Non minore coraggio ci vorrà per introdurre la nozione di limite, collegata a quella di arco naturale delle vita, che comporta la morte come conclusione naturale e prevedibile". Queste considerazioni, ancora molto inattuali in Italia(un paese "tardoconsumista"), sono oggetto di ampia discussione in altri paesi: si veda per esempio l'intervento sul numero 4 della rivista "L'Arco di Giano" (1994) di Callahan, il fondatore dell'Hastings Centre di Bioetica. Sembra probabile, invece, che in Italia le attuali tendenze politiche impediranno sia di trarre la dovuta lezione dall'esperienza americana (il paese al mondo con la più alta spesa sanitaria, pari al 14 per cento del prodotto interno lordo, e con il più basso rapporto tra indicatori di efficacia e indicatori di spesa), sia di frenare irrazionali spinte tecnologiche. L'industria della tecnologia sanitaria ha interesse infatti a stimolare la diffusione di tecnologie anche di scarsa efficacia, oppure a promuoverne un uso improprio: in Italia, per esempio, vi è certamente un eccesso di litotritori rispetto a tutti gli altri paesi, e viene fatto un uso improprio della densitometria ossea, solo per citare due esempi ben conosciuti. Questi aspetti irrazionali della spesa sanitaria non vengono certamente risolti dal mercato; semmai l'opposto.
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