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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
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Due cecchini si affrontano, appostati sulle sponde di un fiume. Costantino, uomo cristiano, Doruntina, donna musulmana. Ognuno vede la testa dell’altro nel proprio mirino. Un secondo per premere il grilletto, e tutto sarà finito. Chi morirà? Lui, lei o entrambi?
Il bersaglio di Blaže Minevski accarezza questo attimo di sospensione e lo dilata. Il romanzo è un lungo monologo di straordinaria intensità ipnotica, che trascina il lettore nel cuore del conflitto macedone del 2001, strascico finale delle guerre balcaniche degli anni Novanta. L’invisibile soglia temporale tra la vita e la morte è, amara ironia, l’estrema occasione per Costantino, scrittore fallito, di narrare una storia. Solo lui, impallinato da un critico per aver plagiato testi classici, può incantare il tempo con la sua voce interiore e, novella Sherazade, ingannare il colpo.
Costantino battezza la sua nemica con il nome di Doruntina. Bellissima, albanese, dai biondi capelli fluenti, è pronta ad assassinare il cecchino cristiano, proiettato come lei nella stessa missione di morte, in una simmetria di sangue, di ingiustizia e di dolore. Una strana farfalla svolazza attorno ai fucili di precisione. Costantino e Doruntina sono anche i protagonisti di una celebre favola balcanica. Nel romanzo ogni elemento ne richiama altri: eventi, storie, fantasie, mondi letterari, che Costantino introduce in un galoppo narrativo avvolgente.
Nel secondo di tregua, Costantino ripercorre la sua vita, dall’infanzia alla scoperta della sua vera identità, dall’amore adolescenziale per una giovane professoressa alla frequentazione di un corso di scrittura creativa nell’Iowa. È tutto vero ciò che ci racconta? Per quale motivo Costantino utilizza, spesso accoppiandoli, il presente e il passato (sto dicendo/dissi), per rivolgersi a Doruntina? Da quale dimensione temporale discende il racconto? Siamo nel qui-e-ora dello sparo sospeso oppure in un metafisico altrove? Ambiguità che conferiscono al romanzo un fascino misterioso.
Minevski gioca con le regole del realismo magico sudamericano, suo modello insieme a Joyce, Faulkner, e soprattutto al grande romanzo russo e francese dell’Ottocento. Il fronte di guerra, in sé e per sé, non ha niente di sovrannaturale, non è un luogo idealizzato al di fuori della storia, ma è un postaccio descritto in tutto il suo orrore, un luogo effettivamente esistente. Costantino, però, interpreta il mondo e dà rilievo ai fatti, avvalendosi di tutta la forza poetica di cui dispone. È la poiesis, il salto creativo: il narratore reinventa il tessuto della realtà sotto forma di storie, per ordinare il caos e frenare la caduta verso l’inesorabile.
In questa ferita aperta tra la realtà e la finzione, da leggersi in parallelo con l’immagine simbolica del fiume, esplode tutta la crudezza della guerra, manifestazione massima dell’assurdità dell’esistenza. Tempi, stili e registri narrativi si intrecciano nell’estetica postmoderna di una prosa spezzata. I commilitoni di Costantino si chiamano Echo Altavoce, Nibbio Codarossa, Bighellone Spiazzato, nomignoli da battaglie infantili con fionde e palle di neve. Cosa ci fanno ex bidelli o ex scrittori in un conflitto armato? Il tarlo lirico si insinua nella durezza del presente, smontando la rigidità, apparentemente implacabile, delle cause e degli effetti.
Ampie citazioni da Madame Bovary, Anna Karenina e Guerra e pace compongono un ricco intertesto, dominato da personaggi femminili tragici. È il codice per comprendere le vicende delle donne amate e perdute da Costantino. La bella Tsutika morta annegata, la disperata madre suicida sotto le ruote del treno, la lussuriosa Zia Leta consunta da una malattia in lidi lontani. La vita è una finzione necessaria? Il bersaglio, un inno alla bellezza della letteratura, lascia aperto l’enigma.
Recensione di Alessandro Vergari
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