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Vincitore del premio Gran Guinigi 2019. Miglior autore unico.
Finalmente esce anche in Italia la seconda parte della fiction storica ambientata all'epoca della Repubblica di Weimar (giugno 1929-settembre 193O). Berlino vive un periodo drammatico e stimolante al tempo stesso: i cortei delle camicie brune, il crescente antisemitismo, lo scontro interno alla sinistra e l'ascesa del nazionalsocialismo; il dibattito culturale, la vita notturna, la musica, le grandiose feste da ballo, la libertà sessuale. Ma avanza minaccioso all'orizzonte il secondo conflitto mondiale.
Si fa presto a dire "fumetto di qualità". Più difficile trovarne una riuscita combinazione di segno grafico e testo davvero colta e coinvolgente. È questo il caso del lavoro di Jason Lutes, quarantaduenne statunitense del New Jersey, autore di "graphic novel" e appassionato, documentatissimo cultore di storia europea. Il cui volume completa, a quasi un anno di distanza, la sua "suite" berlinese iniziata con la traduzione italiana del primo testo comparsa nel 2008, Berlino. La città delle pietre (ed. orig. 2001), e oggi ristampata sempre dal meritevole editore bolognese.
Disponiamo dunque adesso, come in un dittico dai molteplici riquadri, di quest'opera dedicata alla Berlino degli "anni di Weimar", tra il 1919 e i primi anni trenta, quando la repubblica democratica parlamentare sorta dalla sconfitta bellica della Germania si trova di continuo sospesa tra realizzazioni avanzate di ogni tipo e maturare della catastrofe dell'avvento nazista al potere. Se, come è stato detto, "Weimar era Berlino e Berlino Weimar", ovvero centro propulsore, calamita di tutte le sue potenzialità e contraddizioni, Lutes assume tale binomio inscindibile come fondale della grande storia che si riverbera di volta in volta e in controluce sulla scena urbana dove agiscono le sue "dramatis personae". Ma lo fa con una sua ottica peculiare né algida, né, ancor meno, didascalica: Lutes non lavora da storico della politica, dell'economia o della cultura, come coloro cioè che astraggono dalla Berlino concreta un'immagine fissata in un paradigma, sia esso quello positivo di "laboratorio" della modernità novecentesca o quello negativo dell'"ingovernabilità" dove si sovrappongono, con esiti letali, ricorrenti crisi economiche, disgregazione sociale e instabilità politica.
Lo sguardo, e il tratto che lo traduce, che l'autore sceglie di adottare sulla metropoli ce la restituiscono invece come flusso continuo di vita, attraverso una ricostruzione meticolosa e molecolare, delineandone spaccati quotidiani di povertà e ambienti "alti" del lusso e della politica, spazi simbolici e punti di addensamento di massa delle contrapposte manifestazioni.
Quella "vita dello spirito" confrontata alla Berlino analizzata con distanziante raffinatezza da Georg Simmel nel 1909, due decenni dopo si è fatta, nelle figure e nei ceti sociali del paesaggio urbano evocato visivamente da Lutes, carne segnata dalle ferite della guerra, della povertà e della disoccupazione, ma insieme ansia di libertà, volontà di sperimentazione politica, speranza di ricostruzione sociale. La narrazione-rappresentazione che ne consegue si dipana facendo emergere dal fermento berlinese, dove ordinarietà e tumulto si intrecciano continuamente, singoli volti e vicende colte puntualmente o riprese per flashback intorno ad alcuni nuclei narrativi più stabili che permettono di ricomporre coralmente il susseguirsi delle microstorie. Ed è in questi ultimi che ritroviamo alcuni dei personaggi chiave del racconto a fumetti. Ad esempio, sulla strada e nei tuguri o alla ricerca di un impossibile rifugio presso correligionari più abbienti, i due giovani ebrei Silvia e David o il militante comunista ritornato a riorganizzare la lotta nel quartiere operaio nonostante la sanguinosa repressione della manifestazione del Primo maggio per il decennale dell'assassinio di Rosa Luxemburg. Ma, soprattutto, due sono i protagonisti che Lutes sceglie come filo conduttore: la giovane studentessa di storia dell'arte Marthe Muller, che scopre Berlino diventando pittrice e legandosi al maturo giornalista Kurt Severing. Lui l'accompagna nel suo "apprendimento" della metropoli mentre lei ne sta indagando il sottofondo inquieto. Straordinarie appaiono le sequenze in cui entrambi sono intenti a intervistare in coppia di volta in volta il disoccupato o il manifestante o il funzionario: la matita di lei ne tratteggia il volto, la stilografica di lui ne fissa in resoconto la storia di una giornata berlinese. Dove traspare, in estrema sintesi, la cifra profonda del lavoro di Lutes. Berlino, vita in chiaroscuro. Esplorata nel fascino di infinite possibilità promesse e, simultaneamente, nel groviglio irrisolto di destini individuali e collettivi sempre sospesi. Fino a quando Berlino-Weimar assumerà il tono funereo e pietrificato del Reichstag inondato dalla vittoria elettorale dei nazionalsocialisti. Fissato nelle indimenticabili tavole conclusive del libro.
Emanuele Buzzone
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