Viene da pensare che solo all'interno della raffinata scuola italiana di studi filologici e letterari un progetto come quello degli Autografi dei letterati italiani possa essere stato pensato e condotto fino alla pubblicazione; e probabilmente è proprio così. Non che non abbiamo anche noi qualcosa da rimproverarci nel corso passato e presente della ricerca letteraria (anche se la sostanziale tenuta della dimensione storica, pur quando si affrontano ambiti e tematiche up to date, ci ha salvati, almeno finora), ma certo un livello così elevato di scrupolo documentario e di capacità interpretativa sono possibili e attuabili soltanto dove la persistenza della tradizione filologica negli studi universitari ha consentito la formazione di studiosi con competenze di alto livello. Il progetto è sostanzialmente un atlante degli autografi dei letterati italiani dalle origini fino al Cinquecento e questo primo tomo comprende la prima di due parti contenenti i documenti che arrivano fino al Trecento. C'è da sottolineare subito la novità dell'impresa, che mette a disposizione degli studiosi una raccolta completa e ragionata dove finora si avevano soltanto isolati, anche se eccellenti, interventi su singoli autori o su opere particolari. La qualità filologica e paleografica delle voci è impeccabile (il lettore vi trova accurate schede di presentazione e di commento, bibliografie, riproduzioni di numerosi reperti) e le ricadute dell'opera sulla ricerca a venire saranno certamente importanti: basti pensare a future edizioni critiche degli autori, a indagini attributive su testimoni incerti, a studi di diacronia autoriale o sulla cultura di un dato scrittore o ambiente. Non è da tralasciare il numero delle figure coinvolte, che per questa parte comprende ventisei nomi, dimostrando così una pratica scrittoria ampia e ripetuta, peraltro scontata in Italia in quel periodo, dove la militanza letteraria di notai, maestri e giudici è assolutamente rilevante. Le schede offrono talora documenti di una certa notorietà, come il manoscritto del Decameron di Boccaccio (la cui sezione è però molto più ampia e articolata) o il frammento di mano di san Francesco, ma per la più parte si tratta di documentazione poco nota o sconosciuta, che, anche per gli autori meno frequentati, è di assoluto interesse, specialmente con riferimento alla storia letteraria e culturale: in questo senso è da rimarcare l'attenzione alle postille autografe in manoscritti di opere antiche e medievali, che ci offrono indizi molto stimolanti sugli interessi e sugli studi di questi autori. Come si è osservato, la qualità scientifica è certamente quello che più conta in un lavoro di questo tipo e tuttavia non sarà da respingere anche una fruizione "sentimentale", in forza proprio delle attestazioni che abbiamo davanti a noi. È difficile non farsene cogliere di fronte alla cartula contenente le Laudes Dei altissimi e la benedizione di Francesco a frate Leone, con aggiunte di quest'ultimo (che anche corregge il suo venerato maestro), arrivata al sacro convento di Assisi, dove oggi è custodita, dopo che Leone l'aveva lungamente portata su di sé come un amuleto. Francesco scriveva in modo elementare, da semicolto che, neppure dopo la conversione, aveva pensato di studiare e anche la sua grafia aiuta a capirne la spiritualità. Ma pure le figurine di dicitori e protagonisti delle novelle che Boccaccio inserì nell'autografo del Decameron e gli altri disegni di cui arricchì i manoscritti che scriveva o che leggeva sono lì, a parlarci di un gusto e di un'attenzione al reale che ci sembra proprio di riconoscere; e infine, anche testimonianze meno coinvolgenti o decorative sono comunque l'orma di un pensiero, di un lavoro che si è piegato su quelle carte. Pur senza insinuare nessun feticismo dell'originale (il poeta, l'autore, lo sappiamo, è tutto nei suoi testi), non saranno dunque del tutto da respingere sia la pietas sia la curiositas, che fanno ambedue sempre parte dell'umanesimo che ci sforziamo di praticare. Come osservano i curatori, a questo peraltro ricco manipolo di letterati ne manca uno i cui originali basterebbero da soli a riempire un altro volume: manca Dante, che non disperiamo d'incontrare, prima o poi, in qualche pergamena o in qualche nota a margine di Virgilio o di Boezio. Walter Meliga
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