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Mi sono accinto a leggere questo libro mosso dalla curiosità di vedere come l’autore lucano, che ha scritto robusti romanzi di impianto storico molto significativi, se la cavasse con un’impresa che non è mai facile e riesce a pochissimi, quella, ossia, di cimentarsi nella scrittura di una favola, o meglio, in questo specifico caso, di un apologo, direi. Intanto una sorpresa. Scritta da un lucano che vive in Puglia, si svolge a Venezia e nei suoi dintorni, e gli asini non solo parlano, ché nelle favole è quasi una ovvietà, ma amano “pascersi di erba e di poesia.” I personaggi principali sono l’allevatore Putifarre Gigante, che possiede e guida una vecchia Seicento ed ha con sé un cane da guardia che si chiama Acchiappavento e una capra, Marianna; il mite padre Pietropaolo di San Daniele, che è un asino, e vive insieme con la sua mandria nello stazzo detto di san Daniele; e asini sono pure il collerico Majid al Mamaluc, che è insediato nello stazzo detto della Slavonia, e il pigro Matusalemme e la sua sposina Fatma, sistemati nello stazzo di Putifarre, i quali praticano religioni diverse (ebraica, cattolica e musulmana) e appartengono a tre differenti mandrie di ciuchi che sono sempre in lite tra loro. L’amicizia tra gli umani e gli animali è consacrata da un patto di fratellanza stipulato dagli antenati nientemeno che con Noè. Un giorno un certo signorotto, il Commendatore Alberigo Maria Visconti, del marchesato di San Donà, decide di costruire sui loro pascoli l’ipermercato City Moon. Rabbia e sgomento. Putifarre ha ancora un suo praticello, il Bosco dei Pioppi, dove potersi rifugiare e ospitare alcuni dei suoi amici, ma, confinando esso malauguratamente con la proprietà del Commendatore, è sottoposto a mille tentazioni affinché si decida a venderglielo. La Fata di Venezia, Marlene, anche lei sfrattata dal prepotente riccone, cerca di convincere gli asini a finirla di litigare tra loro e di unire le forze per sconfiggere le pretese del Commendatore. Naturalmente, al di là del Bosco dei Pioppi c’è la città, d
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