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Anno edizione: 2020
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Proposto al Premio Strega 2020 da Laura Minervini.
Una “tragedia della porta accanto” dai toni alti e trasfigurati. Il ritratto lucido e impietoso di un mondo al tramonto visto con gli occhi di un ragazzo, impotente di fronte alla realtà in cui si trova a vivere.
«Da un po’ di tempo, un avvocato che arringa nel mio tribunale notturno ripete la stessa solfa. L’assassino, sostiene lui, non è nessuno di noi. È l’intonaco color pesca, la siepe del pitosforo, il ghiaino bianco delle nostre case. Sono le taccole in umido che abbiamo mangiato, i racconti piccanti che ci siamo scambiati e l’aria che abbiamo respirato. Presi da soli, sono tutti ingredienti innocui, vagamente pittoreschi. Insieme hanno creato una miscela di cui nessuno poteva sospettare il potenziale esplosivo»
Un giovane è costretto a tornare nel paese d’origine per vendere la casa di famiglia: è un ritorno doloroso così come lo è il ritrovamento di cinque quaderni scritti molti anni prima dal fratello maggiore Marcello. Leggendoli per la prima volta, il ragazzo, ormai uomo, ripensa all’estate del 2002 quando i due fratelli vivevano ancora insieme, con la madre e il compagno della donna, soprannominato Wayne. La loro casa era stretta tra quella della nonna materna e quella di un uomo, soprannominato il Tordo. Nei quaderni, Marcello racconta molte cose di quell’estate: le cene all’aperto, le discussioni furibonde tra il Tordo e Wayne, la relazione amorosa tra la nonna e il Tordo, il rapporto conflittuale tra la madre e la nonna. Fra i vari episodi riportati nel diario, uno in particolare sarà quello che scatenerà la serie di eventi che porteranno all’inaspettato e drammatico epilogo. Con uno stile perfettamente calibrato e una lingua che mescola tratti eleganti a termini più colloquiali, Claudio Lagomarsini riesce a svelare il crepuscolo di un mondo patriarcale, sessista e arretrato, fotografando dall’interno una società destinata a sparire, eppure ancora così rappresentativa del nostro paese. Tra cene in cortile, litigi per un orto e comportamenti retrogradi, Ai sopravvissuti spareremo ancora racconta la quotidianità di un ambiente provinciale piccolo e meschino e l’angoscia di chi con questa quotidianità non riesce più ad avere a che fare. L’attaccamento ai confini della proprietà privata e l’atmosfera oppressiva del nucleo abitato al centro della storia sono il cuore di questo notevole romanzo d’esordio che affronta il dramma di un ragazzo che, pur dotato di un’acuta sensibilità, nulla potrà contro la grettezza e la distanza della famiglia che gli è toccata in sorte.
Proposto al Premio Strega 2020 da Laura Minervini: «Claudio Lagomarsini, autore di racconti, articoli di approfondimento e pubblicazioni accademiche, fa il suo esordio nel romanzo con questo libro sorprendente e intenso. La storia, ambientata nella provincia toscana dei primi anni Duemila, gira intorno a un nucleo di personaggi descritti vividamente – i fratelli Marcello e "Salice" (dell'io narrante conosciamo solo il soprannome), adolescenti fragili e inquieti, la madre e la nonna, così lontane dagli attesi stereotipi, il compagno ufficiale della prima e l'amante semi-clandestino della seconda, rozzi, maschilisti e prepotenti. I protagonisti, disposti in coppie in più o meno esplicito conflitto fra loro, si muovono nello spazio ristretto di un vicinato oppressivo e invadente, nell'arco di una lunga estate che segnerà in modo drammatico la vita di tutti. Maneggiando con abilità e una certa dose di ironia l'espediente del manoscritto ritrovato, il libro costruisce una narrazione a due voci, dove a Marcello, che racconta in presa diretta gli avvenimenti, fa da contrappunto il fratello minore, che leggendolo a quindici anni di distanza ne ridimensiona la testimonianza, offrendo un punto di vista parzialmente diverso su fatti e persone. Segnato da una scrittura asciutta, limpida e scorrevole, "Ai sopravvissuti spareremo ancora" si colloca all'incrocio fra il romanzo di formazione e il noir familiare e propone un'emozionante esplorazione del tema della solitudine e del senso di inadeguatezza sullo sfondo un'Italia minore, arcaica e feroce. Un esordio felicissimo per l'autore, dunque, e un'esperienza forte e appassionante per i suoi lettori.»
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Di buono c'è solo il titolo
È il romanzo di esordio dell’autore Claudio Lagomarsini. È la storia, terribile, di un evento accaduto nell’estate di un passato ormai remoto e che riemerge nei ricordi di uno dei protagonisti, il Salice, e nelle pagine scritte da suo fratello Marcello. Ne affiora un ritratto impietoso della provincia italiana e dei suoi personaggi: tra cene di famiglia e litigi furiosi, l’autore mette in scena un mondo “antico”, retrogrado e maschilista, dal quale affrancarsi, ma che ancora oggi rappresenta la vivida realtà in alcune aree del nostro Paese. La scrittura è scorrevole ed il libro si legge piacevolmente, che lascia innegabilmente un po’ di amaro in bocca.
Narrativa domestica: questo è il genere in cui è categorizzato in un sito internet il romanzo di esordio di Claudio Lagomarsini; non so se precisamente rientra in questa originale categoria, ma di certo il centro della narrazione è una casa, e una famiglia, e un tempo cadenzato fatto di pranzi e cene forzatamente condivise, di orticelli contesi, di cortili in cui si verificano tragedie che nascono dalla frizione di vite normali, le quali possono scontrarsi tutti i giorni senza provocare altro che una fisiologica consunzione, oppure, per un futile motivo, deflagrare, cambiando per sempre. In questo movimento immobile diventa importante, per la narrazione, la parola di chi guarda e racconta; parola scritta, che ha il potere di fare da filtro alla realtà. Molti, che hanno letto questo libro, insistono sull'analisi sociologica della provincia chiusa e gretta, che pure c'è, ma a me ha colpito di più il valore dato allo scrivere le esperienze, che diventa memoria per sé e per gli altri ed interpretazione dei fatti. "Di questo, però, non ho alcuna memoria. Ho ben impressa in mente, invece, l'immagine di lui che scrive in piedi di fianco alla finestra o appoggiandosi al mobile della TV. Guardava e scriveva. Ascoltava e scriveva.
Recensioni
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Il nome di Claudio Lagomarsini non è nuovo a chi frequenta le riviste letterarie: suoi racconti sono stati pubblicati su Colla, Nuovi Argomenti, Retabloid e Cattedrale e nel 2019 è stato vincitore del concorso Ogni desiderio, bandito dal Premio Calvino. Il suo romanzo d’esordio, Ai sopravvissuti spareremo ancora, è da qualche settimana in libreria per Fazi Editore ed era stato segnalato tra le opere meritevoli della XXXI edizione del Premio Calvino.
Mi sono approcciata alla lettura di quest’opera, quindi, con una certa aspettativa, e all’inizio ho faticato a comprenderne la forma e a fidarmi della direzione in cui l’autore mi stava guidando.
La storia comincia con il racconto di un trasloco: un uomo svuota, per conto di sua madre, la casa in cui ha vissuto da ragazzo e tra le cianfrusaglie ritrova cinque quaderni scritti a penna da suo fratello, cronaca di un’estate iconica dopo la quale le loro vite non sono più state le stesse. Si immerge quindi nella lettura e scopre un punto di vista inedito e doloroso sugli eventi che hanno segnato la sua vita.
L’espediente del manoscritto ritrovato, in un primo momento, mi ha resa vagamente diffidente, poi mi sono lasciata trasportare in un’estate assolata della provincia toscana, forgiata da bevute serali in cui vecchi e giovani si mischiano insieme e violenze sotterranee che si insinuano nella vita di ogni giorno e prima ancora che me ne accorgessi avevo abbandonato le mie riserve e mi ero lasciata trascinare nel mondo del racconto.
Marcello, adorabile narratore inaffidabile dei quaderni, è un adolescente che preferisce osservare e annotare piuttosto che parlare. Passa l’estate in casa, a tradurre dal greco, leggere Gadda e sperare in una telefonata di Sara, la compagna di classe di cui è innamorato, che non abbia il solo scopo di chiedergli la versione di turno.
Intorno a lui ci sono una selva di personaggi che la sua penna trasforma abilmente in macchiette: il Salice, ossia il fratello che ritroverà il diario molti anni dopo, sua madre, il suo patrigno Wayne, sua nonna e il Tordo, l’anziano vicino di casa con una serie di improbabili armi nascoste in casa e un lungo repertorio di avventure sessuali di gioventù da raccontare ad ogni pasto.
Ognuno di loro evidenzia in qualche modo l’inadeguatezza di Marcello rispetto al modello di maschio bianco dominante che dovrebbe incarnare. La nonna e il Tordo sono esponenti di un mondo passato, che nelle parole dell’uno appare intriso di sfrenata lussuria mentre dall’altra viene descritto come un periodo di cupo proibizionismo e repressione. Entrambi, ora, sembrano intenzionati a recuperare il tempo perso e a vivere la loro vecchiaia come se avessero vent’anni; da Marcello, poi, che è giovane davvero, si aspettano ogni tipo di avventura e trasgressione.
Wayne, antagonista designato, è il compagno della madre di Marcello e del Salice ed è l’esatto stereotipo del maschio alpha: poco intelligente ma molto attento a non farsi raggirare in alcun modo, sempre pronto a ribadire la propria virilità, che sia in fatto di educazione dei figli, di coltivazione dei pomodori o di sottomissione e protezione della propria donna.
Ma il suo personaggio si esaurisce davvero qui o è lo sguardo spietato del narratore a ridurlo all’aspettativa che lui stesso sente su di sé?
Quando il piano del racconto si sposta dai quaderni di Marcello e la parola torna, nel futuro, a suo fratello, il bipolarismo perfetto fra il protagonista e il mondo si scalfisce, gli angoli si smussano e tutti i personaggi sono ricondotti ad una più tenera e pietosa umanità.
L’espediente del narratore inaffidabile permette quindi alla storia di restare sempre verosimile, pur nell’eccesso: nei momenti in cui la foga di Marcello si fa più violenta, suo fratello trova, nel diario, alcune pagine strappate.
La trama è costruita come un meccanismo a orologeria che verte evidentemente verso un climax, quasi come in un film western o in una tragedia greca. Quando il culmine si avvicina, tuttavia, l’autore disinnesca abilmente il sensazionalismo e usa toni asciutti e severi, mettendo il lettore di fronte ad una sorta di banalità del male a cui non ci si può sottrarre.
Ai sopravvissuti spareremo ancora è un romanzo avvincente e toccante che riesce contemporaneamente ad emozionare e a convincere su piano letterario: un miracolo di armonia che dunque ancora si verifica in letteratura, nonostante tutto.
Recensione di Loreta Minutilli
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