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Queste lettere d'Amore sono il frutto dell'affetto che Piero Calamandrei provava verso Ada. Mentre lo leggevo a volte mi fermavo per l'emozione al pensiero che un giovane uomo avesse scritto parole così belle e toccanti alla sua amata. Spesso ho ammirato la capacità di Piero che descriveva con tanta precisione i suoi profondi sentimenti, dando voce a quel groviglio di sensazioni che tutti proviamo quando amiamo.
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Nell'approssimarsi del cinquantenario della morte - Calamandrei mancò a Firenze il 27 settembre 1956 - prendono corpo varie iniziative editoriali tese a riproporre il pensiero del grande giurista, a ripercorrere periodi meno conosciuti della sua vita o a rendere pubblici testi fino a oggi rimasti nell'ombra. La nipote Silvia, che si dedica con devoto scrupolo filologico a un lavoro insieme di esplorazione archivistica e cura editoriale, dà alle stampe una scelta delle lettere che il diciannovenne Piero indirizzò alla futura moglie Ada Cocci, allora diciottenne: ottanta tra le quattrocentoventi gelosamente conservate dalla donna.
Quando fu approntato da Giorgio Agosti e Alessandro Galante Garrone il volume delle Lettere 1915-1956 di Piero, molti passi relativi a vicende private furono tagliati e non fu presa neppure in considerazione l'eventualità di pubblicare testi del tipo di quelli qui presentati. La dimensione etico-politica sovrastava ogni altra preoccupazione. Da un volumetto come questo proviene in realtà l'indiretto invito ad affrontare un impegno più sistematico affinché siano messi a disposizione carteggi e documenti utili a fare piena luce su rapporti e collaborazioni, opinioni non esplicitate e sentimenti intimamente coltivati. Ogni opera progettata per far scendere da un monumentale piedistallo i padri della patria è benvenuta, e tanto più sarà utile quanto più sottrarrà spazio alle strategie ammiccanti del sensazionalismo giornalistico o dello stillicidio delle rivelazioni enfatizzate, così come delle sorprese talvolta davvero poco sorprendenti.
In questo caso di clamoroso non c'è proprio nulla. Spiace che le lettere siano tutte di lui, tranne una scritta dall'amata da Torino, nel gennaio 1911: che spicca per delicata vivacità di tono e quasi di (involontaria?) presa di distanza da certa postromantica verbosità: "Io non capisco né ammetto né faccio volentieri ciò che devo fare perché devo , mentre con tutto l'impeto, tutta la forza dell'animo mio compio ciò che so essere desideri, e non volontà espressa, di un'anima a me cara". Si può fare a meno, come si vede, di troppe parole. Piero, lungi dal raccogliere il consiglio, continua a scrivere con una frequenza ossessiva. Nell'insieme queste ardenti missive documentano un clima affettivo, iscritto entro una sintassi liberty, filtrato da una talvolta compiaciuta e retorica letterarietà. Faremmo torto alle ricorrenti dichiarazioni sentimentali scompaginandole per pescarvi nomi e allusioni da allineare per comporre una sequenza di riferimenti culturali. Eppure è da annotare il giudizio su Leila di Fogazzaro, "veramente un bel libro, specialmente ove parla d'amore e non di religione", o l'accennata recensione di una commedia di Sardou interpretata dalla Borrelli. La lotta elettorale che si svolge nel 1911 a Firenze, coinvolgendo il padre Rodolfo, candidato nelle liste repubblicane, è vista da Piero con il cipiglio moralistico che sovente lo caratterizzerà: "A me pare che tutto questo tramestio, nel quale anch'io dovrei essere, pure indirettamente, mischiato, sia come un giuoco da ragazzi che avviene non si sa perché". Se esibisce qualche esercizio poetico, si scopre un gusto di timbro gozzaniano nel tono costantemente tipico di Piero.
Calamandrei nel 1914 si trasferisce a Roma con una borsa di perfezionamento in procedura civile presso lo studio di Giuseppe Chiovenda. L'incontro sarebbe stato di quelli destinati a segnare un'intera esperienza professionale. Già egli si sente accerchiato da "questa immensa tragedia che ci circonda", e svanisce l'illusione di poter vivere l'amore che lo lega all'idoleggiata Adina. Nell'estate 1915 Piero partirà per il fronte, nel dolce ricordo della passione vissuta tra Montepulciano, Pisa e Firenze: intensa passione prima dell'immane tempesta.
Roberto Barzanti
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