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Benny Morris, il "padre" dei cosiddetti "nuovi storici israeliani", è stato più volte accusato di odiare il suo paese e di essere un antisionista. Le accuse gli furono rivolte quando, nel 1987, uscì il suo primo importante lavoro sull'esodo palestinese del 1948 (The Birth of the Palestinian Refugee Problem). Sulle 369 località arabe abbandonate e censite dal libro di Morris, gli abitanti, in 33 di esse, sarebbero stati espulsi con la forza dai militari decisi ad allontanare una popolazione ostile. L'ultimo testo in italiano di Morris approfondisce le tesi sulle responsabilità israeliane nell'esodo palestinese del 1948 e aggiorna, con nuovi documenti desecretatati, l'elenco degli episodi dolorosi di quel conflitto. Il libro è composto di vari saggi che affrontano le tematiche relative all'esodo, e poi la rivoluzione storiografica iniziata da Morris stesso sul finire degli anni ottanta, le motivazioni della sua conversione politica che lo ha portato a non considerare i palestinesi un partner per la pace in Medioriente, infine la sua intervista al primo ministro Ehud Barak, volta a dimostrare le responsabilità di Arafat nel fallimento degli accordi di Camp David.
La minuzia nelle descrizioni e la cura nel precisare i fatti rivelano una freddezza oggettiva, aliena da ogni moralismo. I documenti sull'esodo palestinese prendono in esame alcune figure chiave del 1948 come Yosef Weitz e Yosef Nachmani, che impersonano alcune profonde e dolorose contraddizioni che sorsero nel cuore stesso dell'ala socialista del sionismo e dell'intero movimento sionista. Dichiarava Ezra Danin, consigliere per gli affari arabi degli Esteri a Elias Sasson, dello stesso ministero, il 24 ottobre 1948: "Ho incontrato Ben Gurion (...) Ha detto: 'Agli arabi della Terra di Israele ormai resta solo un ruolo: quello di chi fa le valigie'. Dopo di che si è alzato, mettendo fine alla conversazione". Morris cita anche un rapporto del servizio segreto militare del 30 giugno 1948, che spiega l'esodo palestinese in modo diverso sia rispetto alla vulgata palestinese che a quella "ufficiale" israeliana. La tradizionale spiegazione araba era quella di una premeditata espulsione, mentre quella israeliana riteneva i capi arabi responsabili dello sgombero dei profughi dalle zone di guerra. Il documento elenca i fattori dell'esodo: operazioni ostili delle forze ebraiche contro insediamenti arabi e l'eco di queste nei villaggi vicini, ordini di evacuazione da parte di istituzioni arabe, guerra psicologica, ordini di sgombero da parte di forze ebraiche, paura di rappresaglie, comparsa di bande di irregolari, isolamento di alcuni villaggi arabi e generiche preoccupazioni circa il futuro.
Quasi a volersi giustificare per la sua svolta da molti considerata nazionalista, lo storico israeliano pubblica nel prologo il suo diario di prigionia, relativo a quando nel 1988 si rifiutò di prestare servizio nei territori conquistati da Israele nel 1967. Il colonnello che condannò il giovane Benny alla prigione si dimostrò comprensivo: "Ti rendi conto di che cosa stai facendo? (...) devo mandarti in prigione. Tu non sei fatto per quell'ambiente. Non sei il tipo. Hai un dottorato in storia, sei un giornalista. Perché non te ne vai a casa per il fine settimana e ci pensi su?". Ma il giovane idealista rispose: "No, mi spiace. Quello che stiamo facendo nei territori è criminale. Mi rifiuto di esserne complice. Dobbiamo andarcene da lì".
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