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Il libro intende utilizzare il doppio percorso metodologico che si rifà all'hegelismo e allo strutturalismo. Si parte dall'assurdo logico della crescita infinita e dell'ideologia lavorista, criticando anche l'economia come religione, come pure la visione prometeica del marxismo. L'economia va vista e studiata in quanto costruzione sociale e storica, nei rapporti interdisciplinari con altre teorie e con le vite dei pensatori. Da qui si parte, in una densa carrellata della economia nei vari periodi e autori, dall'antichità in poi. Varie parole chiave: scambi, numerari (nòmisma) e il loro valore; praxis e poiesis; status e contractus, fino ad arrivare al lavoro quale fondamento delle merci (Cfr. Smith). Arriva con l'età moderna la scienza, che diventa ideologia, ad es. nello Stato razionale. E, ancora: il probìema tra storia ed economia dove sono sintomatici i 3 ordini braudeliani (civiltà materiale, scambi e capitalismo) ancora oggi ignorando tre insiemi di fatti (squilibri, crisi, fluttuazioni; sottosviluppo; specificità moneta).L'agostinismo e l'utlitarismo; la tirannia dell'homo oeconomicus e l'amore per gli oggetti.Pur se mostra approfondimento e conoscenza l'A. non convince pur nella condivisibile conclusione di costruire" una società conviviale plurale, liberata dalla religione della crescita e dell'economia"
Ogni tanto fa bene riflettere anche su quello che si crede ovvio! Prima di leggere il libro non mi ero mai soffermato a riflettere sulla storia del concetto di "economia". Davo per scontato che questo concetto fosse sempre esistito come lo intendiamo oggi. È stata quindi una sorpresa scoprire che "l'economia" è un costrutto recente, entrato nell'immaginario comune in maniera pervasiva e totalizzante solo negli ultimissimi tempi. Bella l'analisi storica a partire da Aristotele, l'analisi dell'influsso dell'Agostinismo, delle contraddizioni del Protestantesimo, del Naturalismo di Darwin, ... fino al paradosso del "Dottor Adam e Mister Smith". Interessanti anche gli intermezzi, dall' "invenzione del lavoro" fino alla scomparsa del "lusso" dall'analisi economica come imprevedibile conseguenza della Rivoluzione Francese. Sorprendente è stato scoprire come certi principi morali siano stati completamente stravolti nel tempo, e che la stragrande maggioranza delle società apparse sulla Terra siano vissute e abbiano prosperato senza preoccuparsi tanto, come invece facciamo noi, dell' "economia" e delle sue regole ... tanto più che è ormai dimostrato che queste "regole" sono valide solo in un mondo immaginario, non hanno alcuna validità nel mondo reale ove sarebbero utili altri principi ispiratori (es. cooperazione al posto della sola competizione). Visto che la presunta "razionalità economica" svela ogni giorno di più la sua fondamentale irrazionalità, dimenticando la ragionevolezza e dimostrandosi incapace di distinguere i fini dai mezzi (es. il denaro), dovremmo veramente riflettere su quello che sembra ovvio, ma tale non è, per costruire una società migliore, a misura d'uomo e non di moneta.
Un saggio di antropologia dell'economia che affronta con rigore analitico e storicamente ineccepibile la costruzione sociale di una realtà che il mainstram considera "normale", ma che in verità sovverte il paradigma dell'utilità sociale e del bene comune, in cui ricade la sostenibilità. Tutto questo a beneficio di pochi e a scapito della maggioranza dei popoli, subornando la democrazia, piegata alle logiche delle plutocrazie. Il testo è reso impegnativo per via dalla rottura di schemi consolidati; giova qui ricordare le parole di Keynes nella prefazione alla sua Teoria generale: “Le idee che qui sono espresse tanto laboriosamente, sono estremamente semplici e dovrebbero essere ovvie. La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell'evadere dalle idee vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente.”. A mio giudizio, un libro che tutti gli studiosi di economia dovrebbero leggere e meditare.
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