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Anno edizione: 2016
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La cultura per don Milani rappresenta la forma più autentica di emancipazione su cui l'umanità possa contare.In questo senso non avevano torto i suoi accusatori che lo additavano come prete rivoluzionario dal momento che veramente,per lui, la cultura possiede una carica eversiva.Si tratta,però, di una rivoluzione che non si fa coi fucili ma con i libri perchè non interessata a sottomettere ma a liberare gli spiriti
Questa biografia mi è sembrata più un pretesto per esprimere i pensieri dello scrittore che quello di far emergere la vita e lo spirito di don Milani. Attraverso i luoghi da lui vissuti Affinati racconto quello che pensa e/o che avrebbe detto questo o quell'altro personaggio, a dividere la storia tra un capitolo e l'altro le sue avventure per il mondo dove racconta storie di vita di gente comune
Se si pensa di leggere una biografia ordinaria non è questo il libro adatto. Si procede a flash sui luoghi vissuti da don Milani e sui suoi semi distribuiti nel mondo. Se non si è preparati a questo tipo di lettura, all'inizio ci si sente disorientati e quasi infastiditi(come anche per l'uso, da parte dell'autore della seconda persona), poi si entra nell'ottica dell'autore e ci si adegua. Si incontrano persone (non personaggi), vecchie conoscenze: R.Bensi, E.Balducci, G.La Pira, D.Bonhoeffer, P.P.Pasolini e tanti altri dai quali non si può prescindere se si vuole conoscere don Milani. Ma si scoprono anche persone nuove che lo affiancarono nel suo lavoro come Adele Corradi. Il libro è anche uno stimolo a seguire altri sentieri per approfondire la conoscenza dell'uomo-profeta, quello dei suoi scritti ma anche quelli di chi ha scritto su di lui, da Neera Fallaci alla quasi sconosciuta Adele Corradi. Un modo diverso, a volte spigoloso, originale per accostarsi a quest'uomo davvero singolare.Se si pensa di leggere una biografia ordinaria non è questo il libro adatto. Si procede a flash sui luoghi vissuti da don Milani e sui suoi semi distribuiti nel mondo. Se non si è preparati a questo tipo di lettura, all'inizio ci si sente disorientati e quasi infastiditi(come anche per l'uso, da parte dell'autore della seconda persona), poi si entra nell'ottica dell'autore e ci si adegua.
Recensioni
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Finalista al LXX Premio Strega. Presentato da Giorgio Ficara e Igiaba Scego.
Don Milani non ci lascia un’opera, una filosofia, un sistema, un progetto, ma energia allo stato puro. L’inquietudine che c’è prima dell’azione. Come se non fosse possibile tenerlo fermo per esaminarlo, sfugge a qualsiasi definizione.
Si può capire molto della psicologia di un uomo dai modi in cui narra una vita altrui, perché talvolta il metodo migliore per descrivere se stessi sta nel nascondersi. L’autore si eclissa innanzi al racconto dei propri modelli di riferimento, nella speranza che siano essi stessi, attraverso la capacità di essere evocati e la qualità del loro ricordo, a far emergere i tratti distintivi di chi li celebra.
Affinati nel corso della ricerca dell'eredità lasciata dal pensiero e dalle opere di Don Milani riesce innanzitutto a raccontare della propria esperienza da insegnante, portando alla luce una dedizione contagiante. Una passione che diventa un modello affettivo-esistenziale fondato sulla lezione del priore di Barbiana, una figura di cui percepisce indirettamente la presenza nel corso dei suoi viaggi nelle scuole di ogni continente, riconoscendone l’insegnamento sia negli occhi degli studenti sia in quelli dei maestri di frontiera, epigoni inconsapevoli ed eredi del prete ribelle.
L’autore, stranito ma confortato da tale onnipresenza, si rivolge a Don Milani in seconda persona in ognuno dei dieci capitoli del testo, intrattenendo un dialogo votato alla ricerca di quella condizione di autenticità in grado di definire le priorità morali della scuola e di ogni educatore.
Don Milani è ad oggi una figura ancora scomoda. Nato da una ricca famiglia toscana - da una madre di origini ebraiche - ebbe presto l’impulso di lasciare Firenze, le proprie ricchezze e le prestigiose frequentazioni dei salotti familiari, per iscriversi al seminario. Fu l’inizio di un percorso che gli permise di sviluppare una sensibilità cattolica autenticamente legata al messaggio pauperista del Vangelo e lontana dai barocchismi della Chiesa pre-conciliare, con cui presto giunse allo scontro. Solo da pochi anni infatti i suoi scritti hanno ottenuto l’imprimatur papale, per la precisione dal 2014, quando Bergoglio ha autorizzato la stampa delle Esperienze pastorali, ritirato dal commercio dal S.Uffizio nel 1958 poiché considerata una lettura inopportuna. In questo testo il sacerdote fiorentino preconizzava una società multi-etnica, priva di barriere o dogane, una prospettiva che necessitava di una scuola di servizio civile in grado di educare alla tolleranza, capace di preparare la società al cambiamento, rinnovandone anche il linguaggio.
Allontanato per le idee eterodosse, fu spedito a Barbiana, una sorta di penitenziario ecclesiastico in uno sperduto borgo sugli Appennini toscani, dove fondò un laboratorio pedagogico che accolse i giovani appartenenti al sottoproletariato rurale del piccolo paese. Qui predicò la necessità di recuperare questi esclusi, creando un inedito modello scolastico a tempo pieno e integrato al lavoro. Barbiana divenne in breve tempo teatro di una rivoluzione, dove la scuola era pensata per favorire l’integrazione degli ultimi, piuttosto che aiutare chi aveva già i mezzi per proseguire autonomamente gli studi, riferendosi evidentemente ai più fortunati coetanei cittadini. Il piccolo borgo toscano divenne un’isola di autenticità, in cui il prete incontrò una morte prematura, dopo una malattia debilitante che non gli negò tuttavia la gioia di rimanere fino all’ultimo tra i suoi allievi.
Affinati ha realizzato un reportage riflessivo dei luoghi - mondani ma anche spirituali - visitati da Don Milani in persona o dai suoi inconsapevoli eredi. Ha ascoltato le testimonianze degli allievi ancora in vita del prete ribelle, intervistandoli per carpire dopo decenni quale è stato il messaggio più importante recepito durante l’esperienza di Barbiana.
Emerge da queste interviste soprattutto la conservazione di una formidabile energia, un anelito a rinnovare se stessi, alla luce del Vangelo, poiché è necessario portare la rivoluzione prima nel proprio animo e solo in seguito nella società.
Un messaggio più spirituale che politico, di cui Affinati prova a restituire un’immagine accorata, invitando il lettore a recuperare l’opera di Don Milani, anche da atei, per riscoprire l’urgenza del suo programma pedagogico, in difesa di quegli ultimi che ora non sono più arroccati negli sperduti monti toscani, ma sbarcano quotidianamente lungo le nostre coste.
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