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Un giovane tecnico e cameraman Fiorentino e con la smodata passione per il cinema di qualunque ordine, genere e (de)grado, non trovando sovvenzioni per la sua nuova pellicola s'interroga sullo stato nel quale versa la settima arte di casa nostra. Per farlo riprende e intervista chiunque gli capiti a tiro: dai membri della sua famiglia, nel corso di cene e incontri, ai colleghi di lavoro della TV locale ove lavora da molto tempo con un contratto rigorosamente precario. Da coloro che con lui sono impegnati nelle scorribande di celluloide fatte di progetti passati, presenti e possibilmente futuri; fino ad arrivare a intervistare sia chi ha ‘sfondato’, ma senza tralasciare anche chi sta cercando di farcela sgomitando in un business che sta affrontando una crisi terribile. Quel che Michele Coppini, è questo il nome di questo quasi quarantenne, ricava; è un documentario declinato sotto forma di commedia e dotato della medesima dignità di una pellicola montata con mezzi più ingenti, ma altresì girata con strumenti letteralmente ‘propri’, o impropri che dir si voglia: già perché tutto il film, direttamente distribuito per il mercato dell’’Home Video, è stato girato con un semplice smartphone, qualità che ne fa un prodotto unico nel suo genere ma capace di toccare egualmente le corde di un problema che dal cinema prende il via per parlare di altro ovvero di Italia e precariato. Non si dimentichi che proprio l’autore toscano era stato l’ideatore, con la sua casa di produzione indipendente, dell’ottima Web serie: Paranormal Precarity, una manciata di puntate per spiegare dove stia andando la nostra nazione. Proprio da questa fatica distribuita on – line pare ripartire ‘il’ Coppini, come è amichevolmente definito da tutti, il quale riesce con un linguaggio semplice, diretto e allegro a spiegare cosa significhi essere un possibile cervello in fuga, o almeno sottodimensionato rispetto alle proprie possibilità professionali.
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