“What I Bring, What I Leave”, disco d’esordio del trio She’s Analog, in uscita a settembre 2020 per Auand, è stato concepito come un metaforico scrigno da svuotare per poter essere riempito di nuovo. Il lavoro di Stefano Calderano (chitarra, effetti), Luca Sguera (rhodes, prophet) e Giovanni Iacovella (batteria, live electronics) punta a indagare la formazione più classica, quella del trio, ripensandola per sottrazione. «L'idea – spiega la band – è quella di una musica, creata collettivamente, che parte da uno spunto compositivo sempre più esile e si arricchisce di un'improvvisazione sempre più radicale». Il gruppo, nato nel 2018, ha messo insieme il repertorio lungo un’attività live piuttosto intensa, culminata con la registrazione dell’album di debutto a marzo 2019 nello studio Marchisielli di Foligno, con il tocco magico di Dan Kinzelman. «Ci piace immaginare – aggiungono – che un disco sia come una sorta di pacchetto, uno scrigno, in cui una musica è custodita: la musica che durante i nostri live viene creata, esplorata e che si nutre del nostro respiro e di quello di chi ci ascolta, è in qualche modo intrappolata nei solchi di questo lavoro». Lo scrigno rivela, una dopo l’altra, le trame minimaliste di Matrice Humaine, la coralità fantasma di Long Distance Runners, le esplorazioni di musica concreta di Revolution, le incursioni math-rock di One Week – già presente in una versione per large ensemble nell'ultimo disco di Auanders “Text(us)” – e infine la delicatezza di Song #4. La foto di copertina – una statua avvolta nel cellophane, opera di Manuela Naddeo – lascia intuire l’inizio di un viaggio: «A noi – concludono – piace pensare sia il primo viaggio della nostra musica. Un viaggio che porta con se ciò che è essenziale e si lascia alle spalle tutto ciò che non serve più».
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