Il 26 gennaio 1978 Werther ritornò al Comunale. Mancava da 23 anni; nel ’55 (il 16, il 20 e il 22 dicembre) protagonista era stato Ferruccio Tagliavini, che a Firenze aveva già cantato Werther nel 1942 (il 10, 13, 20 ottobre, sempre con la Charlotte di Pia Tassinari, sua moglie nella vita), all’apice della carriera e della forma, confermandosi con Tito Schipa il migliore interprete italiano dell’opera di Massenet dall’inizio del secolo.Nella nuova produzione, firmata da Pier Luigi Samaritani per la regia, scene e co¬stumi, Werther era Alfredo Kraus, il tenore canario, il più raffinato, anche se non il più po¬polare, rappresentante della scuola spagnola. Aveva debuttato nel Werther, a Piacenza nel 1966, cantandolo in italiano. Dagli anni Settanta aveva preso a eseguirlo in lingua originale. Kraus aveva voce fresca ed elastica di tenore lirico-leggero, con una penetrazione ed una vibrazione fuori dal comune. Il perfetto uso della maschera gli consentiva di salire all’acuto senza difficoltà e di mantenere intatta ed omogenea l’intera gamma. Il francese giovava al suo timbro particolare. Quello che agli esordi nella parte era soprattutto un eccellente teno¬re, si trasformò a Firenze in un interprete completo. L’aristocratica eleganza del porgere, il fraseggio capace di fare propria la peculiarità della melodia di Massenet, la dizione perfetta, la presenza scenica infallibile erano gli strumenti con i quali Kraus si identificò in Werther e ne colse quello spleen che lo paralizza e lo rende inetto all’azione, ma tutto votato alla con¬templazione dell’amore nel desiderio della morte. Kraus, come ha dichiarato in numerose interviste, tradusse in canto la specificità del personaggio creato da Massenet. E lo fece con quell’originalità che contraddistinse sempre le sue interpretazioni, così da risultare perso¬nalissimo, distante da ogni precedente modello, dagli italiani, i già citati Tagliavini e Schipa, con l’aggiunta di Cesare Valletti, ma anche dai francesi come Georges Thill. Aveva compreso che il dramma si svolge nell’anima e che dunque dovrà rifuggire da quell’esteriorità, cui tal¬volta indulgono gli interpreti, che prestano a Werther o accenti incandescenti, prossimi al Verismo, o languori, vicini al sentimentalismo arcadico.L’edizione di Firenze non potrebbe rappresentare uno dei punti più alti della storia dell’interpretazione del Werther, se Alfredo Kraus non avesse avuto al suo fianco la Charlotte di Lucia Valentini Terrani.Nella seconda metà degli anni Settanta, Lucia Valentini Terrani era già una cantante affermata grazie alle sue performances di alcuni titoli comici di Rossini, in particolare della Cenerentola. Non si era ancora accostata al Rossini serio, cercando nella sua voce di puro mezzosoprano quelle risonanze di contralto profondo che avrebbero finito per non giovarle. Era voce dal velluto prezioso, dal timbro raffinato, schiettamente femminile, con screziature umbratili che evocano certe tinte misteriose del Tiziano. La voce dolcissima ed elegante, che avevamo avuto modo di ascoltare e di apprezzare nell’incisione della Fedeltà premiata (Celia), del Mondo della luna (Ernesto) di Haydn e nell’Orlando furioso (Alcina) di Vivaldi, si dimostrò adatta per vivere il dramma di Charlotte.
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