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Un romanzo puro che ho divorato in un pomeriggio al mare e che vi consiglio perché saprà di certo farvi emozionare, come ha fatto con me. Con questo libro l'autore entra nelle vite della gente, scandagliando il loro stato d'animo, scoprendo i retroscena che li hanno portati a essere ciò che sono, mettendo a nudo la loro personalità, le loro contraddizioni, i loro desideri, e lo fa in un modo particolare, facendo ruotare tutta la vicenda (anzi, le vicende) attorno a una panchina. Una panchina vecchia e piena di scritte che si trova nel giardino comunale cittadino. A chi non è capitato? Di trovate il proprio rifugio, fuori dal tempo e dal mondo, dove rimanere in pace con i propri pensieri, dove sentirsi liberi e protetti, e potersi abbandonare ai ricordi. Un momento per noi stessi che troppo spesso, complice una vita incasinata, non riusciamo mai a ritagliarci. Eppure Giulia, Anna, Paola e tutti gli altri personaggi del romanzo ci riescono. Non rinunciano mai a sedere, anche fosse per pochi minuti, sulla loro panchina, centro gravitazionale attorno al quale ruotano le loro esistenze, senza mai allontanarsi del tutto. Perché la vita è così, fa tanti giri e poi torna sempre al solito punto. Ecco che la panchina non è più solo un oggetto consunto dal tempo ma un vero e proprio personaggio del libro, anzi direi il personaggio fondamentale, che unisce e collega le vite di tutti gli altri, li fa amare e sorridere, li fa incazzare e soffrire, li costringe a fare i conti con chi sono e cosa hanno fatto. La panchina è uno specchio dove mettere a nudo la nostra anima e tirare fuori ciò che, di fronte ad altri, a volte nascondiamo o mettiamo da parte. Ho apprezzato come l'autore sia riuscito a tenere le fila di tutta la trama, nonostante stesse raccontando storie diverse, episodi che di per sé sono autonomi (quasi fossero racconti) ma che al tempo stesso fanno parte di una schema narrativo più ampio, che ruota attorno alla panchina del giardino comunale. :)
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