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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2024
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Purtroppo, l’oscuro è Bortolotto, la cui scrittura risulta pressoché incomprensibile: erudita e accademica nella peggiore accezione di questi termini. Al confronto, Nietzsche e Adorno si lasciano leggere come temi di studenti liceali...
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Il titolo di questo saggio allude lapidariamente alla natura dell'oggetto trattato, quale ancora oggi appare dopo un secolo e mezzo di studi tutt'altro che prossimi a esaurire la complessità dell'argomento. "Oscura" è definita l'opera di Richard Wagner, non solo per la sua propensione allo scavo nell'abisso notturno della coscienza e della natura, non solo per la vocazione a sondare la totalità e riportare i singoli fenomeni a principi genetici, ma anche e soprattutto per la straordinaria complessità delle implicazioni culturali, il labirintico intreccio di fonti letterarie, idee filosofiche, simboli, miti, che Wagner rielabora in un processo continuo di contaminazione, gemmazione e definitiva assimilazione nella realtà dei suoi dirompenti lavori.
Da queste premesse discende logicamente il metodo adottato da Bortolotto: se oscuro, ossia insondabile in tutta la sua vastità, è l'oggetto della trattazione, e fiumi d'inchiostro sono stati già spesi su di esso, è inutile tentarne una sintesi organica che si ponga come globale, e tanto meno definitiva. Il fascino del libro e la sua carica di stimolazione critica sta proprio in questo: nell'illuminare l'enigmatico oggetto con lampeggianti istantanee, squarci di luce che colpiscono, di volta in volta, una delle sue mille sfaccettature, senza aspirare all'utopico ideale di un ritratto a tutto tondo, ma gettando su quell'abisso sguardi aquilini, e contemporaneamente aprendo all'orizzonte del wagneriano colto, dell'appassionato ascoltatore e del lettore specialista, prospettive di conoscenza, di studio e di ricerca in una misura del tutto inconsueta agli studi di musicologia.
Il libro, che raccoglie alcuni saggi già pubblicati precedentemente in varie sedi, si apre con uno sguardo generale sul fenomeno Wagner e la sua recezione nell'Ottocento europeo; quindi esamina le singole opere e moltiplica la sua forza di penetrazione critica nella misura in cui, dopo un sommario esame dei primi lavori, passa a considerare la svolta del Lohengrin e l'impressionante catena dei capolavori successivi, L'anello del Nibelungo, Tristano, I maestri cantori e Parsifal.
Al centro della trattazione campeggia Altra aurora, il saggio dedicato ai rapporti tra Nietzsche e Wagner, un nodo fondamentale nella storia della recezione wagneriana e della musica europea, solitamente descritto come uno sfacciato capovolgimento di giudizio: infatuato di Wagner nel panegirico del 1876 (Richard Wagner a Bayreuth), Nietzsche sarebbe passato, una ventina d'anni dopo, alla feroce denigrazione del Caso Wagner in cui il "drammaturgo ditirambico" è ridotto a un ipocrita ricercatore di effetti, e la sua grandezza commisurata alla vuota e grottesca apparenza virtuosistica di un commediante.
Bortolotto mostra che la realtà è assai più complessa e che i due scritti rivelano, in ogni momento, la compresenza di elementi contraddittori e una sconcertante polivalenza di segno critico che lascia spazio a varie interpretazioni. Così, all'interno dell'encomio bayreuthiano Bortolotto svela il tarlo della critica negativa, le origini delle ironie sferzanti e sinistramente allegre (il rapporto tra i due giganti è visto in chiave di esilarante commedia) che si manifesteranno nei due scritti seguenti; mentre, d'altra parte, va a scovare nella miniera dei Frammenti postumi contemporanei al Caso Wagner i numerosi passi in cui la passione wagneriana riappare "con la veemenza di un incubo, con la regolarità puntuale di un appuntamento nevrotico". Per Bortolotto Nietzsche avrebbe raggiunto, in tutta la sua opera, la divinazione della critica profetologica, e segretamente dedicato il Caso Wagner al destino della musica di cui il filosofo intuisce, con sorprendente precisione, i futuri punti di approdo: dal senso del "materico" alla dissoluzione formale, dal frammentismo all'audacia di osare il "brutto", e così via.
La presenza della modernità, magari intesa come recupero e palingenesi dell'arcaico, è un termine di confronto costante, un faro che guida Bortolotto nell'esplorazione del wagneriano territorio oscuro. La sua essenza è probabilmente riconducibile al fatto che il tema musicale, in Wagner, "cessa di essere 'cosa', un quid riportabile alla propria grafica, un originario elemento spaziale, per divenire un dato affatto temporale, ma dotato, nel tempo, di una speciale valenza: con termine appunto proustiano, una intermittence ". Così, "il concetto stesso basilare del comporre, la variazione, subiva una svolta di gravità incalcolabile". L'abisso della modernità, in altre parole, si spalancava dinnanzi a lui.
Ma se l'arte di Wagner era, per sua stessa definizione, un'arte del trapasso e della transizione, al modello di variazione infinita sembra conformarsi lo stesso procedere del discorso di Bortolotto. Le svolte, magistralmente raccordate, sono continue: il libro passa dalla ricognizione dei miti e delle fonti letterarie cui il compositore attinge all'esame dei loro significati antropologici, filosofici, allegorici, dalle osservazioni erudite sull'etimologia dei nomi a quelle sullo stile vocale, la strumentazione, l'armonia, dalle descrizioni di singoli passi come, particolarmente icastiche, quella del monologo di Venere nel Tannhäuser, o l'altra del rapporto Elsa-Ortruda nel secondo atto di Lohengrin, alle pagine magistrali sull'armonia del Tristano o dei Maestri cantori con osservazioni di rara acutezza.
Se oscuro è l'oggetto e lampeggiante è il modo di illuminarlo con intermittenti istantanee, non meno mobile e prensile è la pasta letteraria in cui il pensiero critico di Bortolotto prende forma. In questo libro colpisce innanzitutto l'ampiezza dell'apertura critica, che va dall'erudizione scrupolosa alla massima libertà di giudizi e accostamenti; ma, leggendolo, ci accorgiamo a poco a poco che la qualità di questa prosa spezzata, nervosa, fulminante nelle sue scelte lessicali e sintattiche, non raramente difficile e talvolta persino ermetica, scorre attraverso l'intero organismo come la linfa animatrice, non lascia tregua all'attenzione del lettore, e ne sollecita l'adesione o le riserve verso i giudizi dell'autore con un atteggiamento vigile, reattivo, costantemente fecondo. Il risultato è una lettura tra le più avvincenti che la critica di oggi, non solo musicale, possa offrire.
P. Gallarati
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