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Era ormai tempo che un editore italiano si interessasse all'epistolario fra Richard Strauss, il più grande compositore della prima metà del Novecento insieme a Stravinskij e Schönberg, e Stefan Zweig, il letterato austriaco che divenne per breve tempo librettista di Strauss, dopo la morte di Hugo von Hofmannsthal nel 1929. Il rapporto fra Strauss e Zweig, indagato negli anni cinquanta da Lavinia Mazzucchetti, iniziò nel 1931 e fu troncato all'alba del 1936 per motivi politici più che artistici, come il lettore può oggi evincere da Vuole essere il mio Shakespeare?, titolo della versione italiana curata e tradotta da Roberto Di Vanni per l'editore Archinto. Stupisce il sonno sull'argomento di Adelphi, che già vanta in catalogo il capitale epistolario di Strauss con Hofmannsthal.
Il rapporto con Zweig fu difatti inteso da Strauss come rinascita di una collaborazione letteraria al servizio del proprio teatro musicale, che aveva subito una battuta d'arresto con l'improvvisa scomparsa di Hofmannsthal. La felicità dell'incontro andò oltre le premesse, tanto che le missive ci mostrano uno Strauss umoristico e rinato. Il motivo risiedeva nella stupefacente aderenza alla sua sensibilità dell'unica opera che i due riuscirono a portare a termine insieme, Die schweigsame Frau (La donna silenziosa), andata in scena a Dresda alla fine del giugno 1935 dopo serie turbolenze con il regime nazista. Il rapporto con il potere non intaccava però il contenuto dell'opera, una commedia in musica al quadrato ricca di citazioni storiche, secondo una prospettiva di rifacimento del passato consustanziale alla mano di Strauss. Coglie di sorpresa il fatto che Di Vanni, nell'introduzione, dica che il compositore non fosse riuscito a "straussificare" il libretto di Zweig, quando in realtà l'intenzione stava nel rifare gli esempi di Mozart, di Rossini, di Donizetti, che è la fonte diretta (si veda la lettera del 24 giugno 1932).
Dalla fucina creativa, ricca di idee non realizzate, emersero lavori che Strauss dovette poi mettere in pratica con altri: Capriccio, nato dal suggerimento di Zweig di rifarsi a Prima la musica e poi le parole di Casti e Salieri, e soprattutto Friedenstag (Giorno di pace), incentrato sull'ultimo giorno della guerra dei Trent'anni. Tale progetto fu poi realizzato da Strauss con Joseph Gregor, riottosamente accettato dopo che Zweig aveva proposto una serie di suoi sostituti irrimediabilmente cassati dal musicista. In quanto ebreo Zweig era inviso al nazismo, e il nazismo non poteva tollerare che il suo musicista più in vista avesse rapporti con un ebreo: per salvaguardare Strauss il letterato volle farsi da parte e rifiutare ulteriori progetti in prima persona, come dimostrano varie lettere già a partire da quella del 21 agosto 1934 in cui schizzava il piano di Friedenstag. Non si comprende, quindi, come Di Vanni possa affermare che in Zweig sussistesse "la volontà di proteggere il suo rapporto" con l'artista e, in precedenza, definire il Friedenstag ideato da Zweig "una deriva iper-romantica", quando era un'opera sulla pace che certo non avrebbe fatto piacere ai bellicosi nazisti.
È qui che la politica irrompe nell'epistolario e nella creazione artistica, mutando il corso di quest'ultima. Di fronte alle resistenze del librettista nei confronti di nuovi progetti, Strauss si produsse nell'esternazione della famosa lettera del 17 giugno 1935, in cui uno dei suoi non frequenti ma devastanti accessi d'ira colpì Zweig e la sua "ostinazione ebraica", ma soprattutto il regime, che pur lo aveva messo a capo della Reichsmusikkammer, un ruolo che Strauss dichiarava di "scimmiottare (
) per fare qualcosa di buono ed evitare sciagure peggiori". La missiva fu intercettata dalla Gestapo e sancì la fine del rapporto tra Strauss e Zweig, della Schweigsame Frau che venne tolta dal cartellone, della presidenza di Strauss costretto alle dimissioni. Stupisce ancora, anche per l'evidenza dei documenti che egli stesso traduce, come Di Vanni sostenga che "è proprio il progressivo farsi inconciliabile delle vedute [fra Strauss e Zweig, ndr], più che l'oggettiva distanza, a provocare la brusca interruzione del loro rapporto": fu la politica a interromperlo.
Al pari non è vero che "il compositore, dopo l'affaire della Schweigsame Frau, può solo sfruttare la rendita del suo prestigio", perché Strauss cadde in disgrazia. Lo testimonia, fra le altre cose, il Memorandum del compositore che Di Vanni riproduce in appendice, mutuandolo dall'edizione originale tedesca. Questa fu approntata da Willi Schuh, biografo ufficiale di Strauss e insostituibile cercatore di documenti: però Di Vanni non lo nomina mai, così sembra che le note siano sue, mentre sono farina integrale di Schuh, solo con qualche aggiunta. Le nove lettere che arricchiscono l'edizione italiana rispetto alla tedesca non sono una novità, poiché già apparse nell'impeccabile edizione francese curata da Bernard Banoun.
Giangiorgio Satragni
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