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Una scoperta straordinaria, questa di questo scrittore, avvenuta attraverso la lettura delle lettere della Pizarnik, che definisce questo libro il più solitario mai scritto. E in effetti fa (appunto) effetto particolarissimo immaginare questo emigrato calabrese di Conflenti in Argentina, appisolato all'ombra di un albero mentre gusta un frutto di quegli stessi che lui ha coltivato. Fuori dai circoli, fuori dalle correnti, un salmone campiano. Ironia, paradossi, squarci, intagli, ritorni a una coda già morsa, ma senza che il linguaggio appaia mai fine a sé stesso, gioco assuefatto(si), anzi, sempre rivelatore di, come già scritto, squarci, facenti luce su una realtà che solo chi ha enormemente rallentato rispetto ai dettami su come vivere il tempo nella nostra epoca sa arrivare ad offrire. Vita anche questa, scelta e sofferta! Aforistico-esistenziale-poetico-filosofico-mistico, ci è comodo definire l'opera come raccolta di aforismi, in realtà è sapiente sminuzzamento di tanti generi, a partire dall'interno dei quali opera la sua scelta di alta libertà raggiunta, la vetta della sua solitudine, umana e letteraria (questo il suo unico libro, lontano da qualsivoglia ansiosa frettolosità consumistica e mercatistica di cui sono vittime e carnefici anzitutto gli autori), che rende la sua voce timbro unico e riconoscibile: - Quanti, stanchi di mentire, si suicidano in una qualsiasi verità. - Nel mio silenzio manca solo la mia voce. - Triste sei meno triste. Resta triste. - I miei morti continuano a soffrire il dolore della vita in me. - Credono che muoversi sia vivere. E si muovono, non per vivere. Si muovono per credere di vivere.
Un solo libro pubblicato in vita, questo cesto di aforismi, raccolta profonda e aspra, filosofica e divertita. Nel segno del breve che incide sulla carne la giusta ferita del sollievo, i gusti e le ironie di un inattuale raffinatissimo, storture e aliti strappati chissà da quale fondo. Forse è il mestiere più raro quello di chi dona aforismi, come una tragica consapevolezza nascosta bene nel taglio apparentemente leggero della frase spicciola, un dentro che trova la sua interezza nel poco di un pensiero miniato: "Il fiore che tieni fra le mani è nato oggi e ha già la tua età". Eppure quanta saggezza, quanta umile e magnifica verità si sparge da sola in quegli spicchi d'inchiostro. Sparo tre fucilate a inchiodare la commozione: "Piccolo è colui che per mostrarsi nasconde". E ancora: "I si e i no sono eternità che durano momenti". Ma leggiamo quest'altro, cinque parole appena lanciate all'esperienza nelle quali dimorano intere flotte di romanzi e poemi, : "Ferire il cuore è crearlo". Credo sia davvero un'educazione, probabilmente un destino quello di adottare questa scelta, quel condensato d'inchiostro che assomiglia come a una fuga dai seriosi schemi del sistematico, dalle stucchevoli densità di tomi pesantissimi, dalla vita che continuamente si disfa e si rovescia in se stessa, maldestra e stramba creatura perché la si possa chiudere in un volto compiuto. Ben vengano allora questi spiriti unici, nel segno di una frettolosa immediatezza che sa e che insieme si vela, che sconcerta e che rilassa, dando alle coltri confuse dei giorni una stella meno slogata a cui riferirsi guardando in alto. Cedere in buona sostanza al mistero che avvince, ai pruriti che invitano, sempre dalla parte di chi patisce e geme, ma nel timido sorriso che scagiona. Come si fa a non perdersi in questa meraviglia, dentro la quale vibra tutta la cadenza dell'umano: "Chi ama sapendo di amare non ama". Oppure: "Il procedere retti accorcia la vita". Una gioia che non smette di avvolgere.
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