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Un romanzo che mi ha sorpreso ed attratto per qualità , personalità e capacità insospettabile in una giovane esordiente, quanto meno alla prima opera di narrativa.Insomma una bellissima sorpresa che merita più attenzione di quanta gliene abbia riservata l’editoria italiana, semprepronta ad omaggiare chi già ha fama o a salire su carro dei vincitori. "Voci d'un tempo", di Silvia Bonucci, è uno di quei romanzi che se pubblicato da editori alla moda e/o con maggior visibilità avrebbe avuto certamente più successo e qualche porta aperta in piÙ: perché anche nell’editoria vale quel perverso concetto che misura il contenuto a seconda del contenitore, ovvero l’abito che fa il monaco,o se preferite l’apparenza che veicola anche i contenuti. La storia della disfatta di una famiglia ebrea della Trieste di inizio '900; una famiglia dominata da Gemma, figura femminile moderna, ammaliante, seducente,bellissima quanto inconsapevolmente diabolica,che porterà alla rovina tutti quanti: l'innamoratissimo figlio morfinomane, il silenzioso e sobrio marito Sandrin, e l'amante perfetto rappresentante della scalata sociale negli anni '20 che si toglie la vita perché oppresso dal senso di inadeguatezza. Quella della Bonucci è la storia della sua famiglia raccontatale da sua nonna ed è una sorta di "Caduta degli dei" di viscontiana memoria raccontata con grande tensione narrativa , intelligenza cristallina e sobrietà di stile che nulla concede all'autocompiacimento. Una scrittura moderna e accattivante, evocativa e lineare. Ma l'aspetto più interessante del romanzo "Voci d'un tempo" -titolo che rievoca un verso di Umberto Saba- è l'intuizione di fare raccontare da nove prospettive diverse gli stessi scarni fatti: e ogni volta riuscire a dare nella prospettiva del personaggio narrante un colore, una temperatura, una posizione , una focalizzazione che lasci trasparire elementi nuovi che si vanno ad aggiungere al caleidoscopio di dati indispensabili a ricostruire la complessità degli eventi della vita in
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