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Al di là della vicenda in sé e dell’accennata spy story, che coinvolge Dvora, donna di mezza età affascinante ed inquieta, il romanzo è interessante per la tematica che svolge: quella dell’origine ebraica di tante famiglie europee, che eventi storici diversi avevano imposto di negare ed occultare per lungo tempo; origine che ciononostante, ad un certo punto, ritorna alla luce con forza. Ma è Gerusalemme l’attrice principale della storia. Con la sua aria sfuggente, i profumi di lavanda e rosmarino mescolati insieme; i colori…i merli delle mura che sembrano immersi nell’acqua limpida del cielo; i misteri; la fantastica capacità degli abitanti, anche i più poveri in apparenza, di conoscere gli stranieri ad un primo sguardo. Quanto mai suggestiva la descrizione di Jaffa Road, con le sue differenze tra le case, che diventano sempre più vecchie man mano che ci si avvicina alla Città…Vecchia. Un luogo che prima ti respinge, poi ti fa girare in cerchio, indi stringe il cerchio e non ti lascia andar via, anzi ti ricattura. “Il motivo per essere a Gerusalemme è sempre di una certa importanza e tutti agganciano le loro speranze inespresse a questa città” commenta Anna Mitgutsch “le agganciano come quadri privi di cornice a cui la città deve dare appunto la cornice; solo davanti al suo panorama le loro storie e i loro piccoli passati iniziano a risplendere e ad acquistare un senso”.
Recensioni
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Non sono d'accordo con la traduzione del titolo, che nell'originale recita "Addio a Gerusalemme". La città è infatti almeno coprotagonista di quest'opera dell'austriaca Anna Mitgutsch, ex docente di letterature, autrice pluripremiata di sette romanzi, due dei quali pubblicati da Feltrinelli. La narratrice Hildegard, quarantenne austriaca ricercatrice negli Stati Uniti, cerca da anni le tracce di una prozia ebrea, l'unica parente che non si è voluta assimilare, perse dopo la sua fuga da Vienna durante gli "anni difficili". Continua a tornare a Gerusalemme, dove potrebbe crearsi delle radici e sentirsi "indivisa", che la affascina con la sua molteplicità etnica, religiosa, linguistica, e la spaventa con la sua violenza e le sue lacerazioni. Da giovane è vissuta in un kibbutz, ora ha un'avventura con un giovane armeno, che in realtà è palestinese, la usa per scopi terroristici e viene ucciso in uno scontro a fuoco durante l'Intifada. La storia è narrata a ritroso, con scarti temporali e geografici, in un intersecarsi di ricordi, descrizioni e dialoghi, per finire in una stanza dell'aeroporto dove Hildegard, decisa a tornare in America dopo tante incertezze sulla sua vera Heimat, verrà interrogata dai servizi israeliani. Il tentativo di trovare la verità fra le molte varianti parallele in modo da rilasciare una dichiarazione veritiera ma non compromettente è destinato a fallire (e comunque non viene raccontato), come fallimentare è la ricerca di identità della protagonista, che si fa chiamare Dvorah, il nomignolo ebreo che le aveva dato la nonna. La voce del deserto si presta a diverse letture: come thriller politico, storia d'amore, ricerca delle radici e della memoria ebraica.
Marina Ghedini
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