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Anno edizione: 2011
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Ho letto questo libro con molta malinconia e tristezza, perchè ha alimentato capitolo per capitolo, paragrafo dopo paragrafo le mie personali riflessioni sulla malattia, sul declino e sulla morte. Ci è voluto coraggio per andare avanti nella lettura proprio per le risonanze interiori che suscitava in me. Come è spiegato in prefazione, l'autrice partendo da una sua diretta esperienza di osservazione, racconta di casi e di situazioni che preferiremmo tenere sempre al margine della nostra coscienza: cioè tutto quantoattiene alle esistenze liminari di coloro che sono colpiti da malattia gravi ed incurabili, oppure fortemente cronicizzanti (ed invalidanti), oppure semplicemente da quella "malattia" insanabile ed inemendabile che è, al giorno d'oggi, la vecchiaia con quel carico di isolamento e di marginalizzazione - rispetto ai flussi produttivi - che comporta. Ci sono molto dolore e molta sofferenza nelle pagina della Loewenthal, ma anche un pizzico di speranza nel fatto che, grazie ai molti che con dedizione si occupano di queste esistenze al limite, qualcosa possa migliorare nella loro qualità di vita, anche se spesso c'è ben poco da fare, se non esssere accompagnatori e testimoni di questi molteplici declini. La cosa più temibile che implica il vivere un'esistenza al limite è la cancellazione della propria identità e l'oblio della propria storia che non può essere più ne raccontat, nè ascoltata, né ridetta e quindi tramandata. Infatti, l'unica speranza di vita (pur nel confronto con la morte) è quella di scoprire le "storie" che stanno dietro a ciascun declino: la storia individuale è la via di uscita dalla omologazione, poichè rappresenta sino all'ultimo il salvagente a cui l'ammalato o l'anziano da cui la vita fugge via possono aggrapparsi per non essere trascinati verso la cancellazione del proprio esistere e dell'essere esistiti. Credo che lo sforzo della Loewenthal sia stato proprio quello di ridare vigore e dignità a queste esistenze devitalizzate.
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