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Un libro buffo, scorrevole, divertente. Che parte un po' come una satira di costume, con un occhio ad Achille Campanile, ma pian piano si fa sempre più surrealista, imprevedibile, simpaticamente folle. Manca forse un di più di divertimento linguistico, ma ha il vantaggio di colar via come una sorsata d'acqua fresca.
Mi ha incuriosito il titolo,rientrandovi anch'io "parzialmente"(laureato in lingue e lett. straniere).E' una storiella paradossale che leggi tutta d'un fiato o,riferendomi all'autore,giusto il tempo di spezzare uno di quei famosi "biscottini cinesi della fortuna"! Molto arguto il capitolo intitolato "Il pane" e soprattutto molto condivisibile (ed ironica)la descrizione apparentemente "estrema" della scuola...che cade a pezzi!Leggetelo!
Mia cugina, laureata in lettere e archivista, non c'entra niente con questi personaggi un po' sperduti e fricchettoni :) In ogni caso il libro è carino, scorrevole e divertente, l'ho letto con piacere e mi ha regalato molti sorrisi.
Recensioni
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Se ammettiamo che la narrativa sulla scuola costituisca un vero sottogenere, illustrato da autori prestigiosi, è ormai evidente un'involuzione non casualmente parallela a quella dell'istituzione in oggetto. Nulla meglio della parodia rivela lo smarrimento di un ruolo, quello docente, e l'indecisione sul futuro stesso dell'istituzione scolastica. Il punto di non ritorno è segnato forse proprio da questa agile e scanzonata novella di Alessandro Carrera, giocata sul rapporto tra un insegnante, Renato, "tendente all'inquietudine ed alla depressione" oltre che a una fuga dalla scuola verso l'immaginato paradiso economico della libera impresa; e Rino, "persona lieve innocente e poco complicata", il supplente che aspira a entrare nella cittadella dorata del ruolo. Come due persone che spingono sulla stessa porta, una a entrare e l'altra a uscire: l'impasse che ne viene è ben più che allusivo all'involuzione del sistema scolastico, schiacciato com'è tra propositi di "riforma" e "controriforma", tra un' utenza (sic) sempre meno interessata e una civiltà sempre più mediatica, schizofrenica, iconica, indifferente e impermeabile alle obsolete strategie scolastiche. Il tentato scambio di ruoli fallisce, Renato scopre che "la scuola non si lascia, è il primo comandamento di tutti quelli che non la sopportano", Rino rientra nel suo eterno, vano precariato esistenziale ("Niente al mondo è più inutile di un laureato in lettere disoccupato").
Prima che un evento apocalittico minacci di radere al suolo la Scuola, descritta con gusto rabelaisiano per l'abnorme ("la palestra era così alta che vi si formavano nubi e trombe d'aria"), Carrera si ritaglia lo spazio per un gustoso divertissiment, che denota un'allegria affabulatoria non comune, memore delle sprezzature dei cannibali ma senza sgradevolezze splatter. Ne è venuta una struttura narrativa ariosa e sbrigativa, che non dettaglia né appesantisce di lamentazioni sui destini scolastici, ma recupera il tono surreale del migliore Stefano Benni, producendo una parodia sfrenata, corsa da bidelli boss e presidi-donna dediti al mobbing sessuale, eserciti di ristoratori cinesi e supplenti spogliarelliste. Un'astrazione, certo, ma al di qua del sospetto di diserzione e disimpegno, in virtù di ben calibrate frecciate socio-politiche. ("Negli ultimi tempi la salute degli insegnanti era migliorata, c'era stato un generale aumento dell'età media, una nutrizione più sana a livello nazionale, perfino un accenno di riforma sanitaria").
Che non si possa più descrivere la scuola se non adibendo questi strumenti espressivi? L'umanità e lo sguardo sociologicamente partecipe di Sandro Onofri ( Registro di classe ) sembrano appartenere al passato della Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani, forse a un'illusione. La scuola odierna annaspa nel paradosso di un universo autoreferenziale, luogo di trasmissione culturale e dunque naturalmente dinamico, eppure sclerotizzato nella mera ripetizione di un sapere di problematica utilizzazione nella società multimediale. Se così è, poco resta da tentare e nulla da illudersi: se ne può fare, questo sì, letteratura - senza ormai più pretese psicopedagogiche né statuti da sottogenere.
Renato e Rino sono due laureati in lettere. Il primo, professore di ruolo, è tormentato e infelice. Il secondo, disoccupato, è innocente e francescano. Renato si prende una settimana di malattia per cercare un altro lavoro e chiede a Rino di trasferirsi a casa sua. Se arriva la visita fiscale Rino è pronto a farsi passare per Renato. Ma il medico fiscale è un'angelica dottoressa di cui Rino si innamora e che a sua volta crede di essersi innamorata di Renato. Questo è solo uno dei molti equivoci e colpi di scena di cui è fatta questa fiaba sarcastica e gentile, sorniona e strampalata, nella quale i confini tra il reale e l'assurdo sono aboliti d'autorità. La vita meravigliosa dei laureati in lettere guarda alla tradizione del racconto umoristico e bizzarro da Mark Twain a Richard Brautigan, ma è anche e soprattutto un'opera buffa messa in prosa, un canovaccio spiritato e rossiniano che prende garbatamente in giro alcune ossessioni tipicamente italiane, prima fra tutte la sicurezza del posto fisso.
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