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Ho letto con grande piacere La vita incagliata di Attilio Del Giudice che avevo lasciato in un angolo dopo averlo avuto in regalo qualche tempo fa. Bel romanzo, bella scrittura che prende e non molla fino alla fine. Una sorpresa che ci siano ancora scrittori così.
Quella raccontata da A.DEL Giudice non è una storia semplice, poichè è una storia nella storia, dove la vita dei personaggi si intreccia in modo, apparentemente, semplice per nascondere una verità molto complicata che risale a cause socio-economiche lontane. Fin dalle prime pagine lo scrittore sembra conoscere bene la realtà sociale dentro la quale si muovono i personaggi che agiscono con estrema naturalezza. Il nucleo familiare si colloca in uno scenario intriso di prepotenza e violenza, all'interno del quale non viene risparmiato nessuno e Nino è destinato ad apprendere da questa "scuola" più di quanto possa insegnargli la sua maestra venuta da Forlì. L'autore presenta questo conclamato mondo della camorra attraverso gli occhi di un adolescente, il quale prova a spiegare i fatti con una lucidità che, a volte, va al di là delle sue possibilità di comprensione. L'intrigato mondo della malavita ritorna in tutta la sua crudezza anche con l'uso di un linguaggio molto appropriato, tanto da imporsi nelle coscienze di tutti noi, che non sappiamo reagire a questa piaga sociale che continua a mietere vittime il cui destino è già deciso, perchè le loro vite, appunto, risultano incagliate già prima di nascere. Lo scrittore "allucca", ma questo suo grido rischia di rimanere inascoltato, di disperdersi nell'aria se nessuno sarà in grado di risolvere il problema alla radice, estirpando la causa del male in modo radicale. Il libro ha il valore di una denuncia sociale, è il documento di uno spaccato quotidiano che poteva essere maggiormente approfondito in alcuni punti i quali, tuttavia, lasciano al lettore la possibilità di farlo.
Attilio Del Giudice torna in libreria. Questa è una bella notizia che apre la nostra recensione. Due anni dopo Bloody Muzzare’, che ha chiuso la trilogia dei tutori dell’ordine De Grada e Capece, arriva il nuovo lavoro ancora edito da Leconte. Una bella edizione, curata, con 149 pagine ricche di vicende raccontate in capitoli brevi e densi. La struttura narrativa pare smembrarsi dall’insieme, vuole dilaniarsi, per raccontarci quanto più possibile la vita del protagonista, in tutti i suoi aspetti. Ed è un piacere trovare Del Giudice ancora impegnato a giocare con l’italiano, questa volta in maniera ancora più profonda: lascia che a “scrivere” la vicenda sia il protagonista, Nino, un bambino di quinta elementare che si racconta come se componesse il suo diario segreto. Gli occhi di questo bambino, e il suo cuore, ci porteranno nella provincia campana, un territorio che spesso sanguina e che il nostro Attilio conosce bene. Nino intinge la penna in un italiano incerto, ricco di elementi presi in prestito dal dialetto, co-protagonista assoluto delle vicende narrate. Così, tra violenza ordinaria, squallore, prepotenza e codici d’onore della malavita organizzata, un bambino si muove a metà strada tra i suoi coetanei e il mondo degli adulti. Tra l’innocenza genuina e un po’ smaliziata di chi è costretto a crescere in fretta, e le perversioni dei grandi, sempre alla ricerca egoistica di soldi, piacere e potere. Nino sembra non capire la sfida che l’attende: dovrà scegliere, un domani, se ereditare l’esperienza e la fama del padre padrone o prendere la sua strada fatta di sogni e dolcezza. Quella tracciata dalle due dolci figure femminili di cui è perdutamente innamorato: la mamma e la maestra. Noi tifiamo per Nino, perché è buono, perché rappresenta una speranza per tutti, perché solo nell’ultimo capitolo Del Giudice ci fa capire cosa significa “la vita incagliata”, lasciandoci a bocca aperta. E allora sì, non ci resta che sperare…
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