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Romeo, detto anche Meo, “…era un comunissimo gatto soriano”, ci spiega ancora la quarta di copertina, infilatosi poco a poco nella vita del poeta e che “…di poesia in poesia, di verso in verso, è andato acquistando una sua sempre più spiccata e originale “personalità”. E come per noi umani c’è un prima e un dopo (di noi), un inizio e una fine, un incedere di giorni coi suoi eventi, i suoi laghi di luce e d’ombra - fino alla discesa ineluttabile e all’assenza - così del gatto Romeo conosciamo il suo predecessore Paquito, e il suo ingresso nell’intimità della casa, stravolgendo abitudini e weltanschauung: Siamo nati per l’eterno e per le grandi imprese/ma basta un niente appena il fiato di un animale/a mutare per noi il senso dell’universo. E la vita di Romeo si fa metafora, paradigma, elemento di confronto: Solitario, serio, appartato/contrario a ogni presenzialismo/un gatto – devo pur dirlo – che/se non fosse un gatto sarebbe/quell’altro che ne fa il ritratto (“Ritratto”). Più che col padrone di casa – un qualunque padrone di casa - è dunque con l’artista che si scoprono nel tempo fili sottilissimi di affinità, di comunanza: Della grandiosa famiglia/ha ereditato le pose solenni/e il sublime distacco (“Sua maestà il gatto”). Versi lunghi, liberi, narrativi strutturano le poesie di questa raccolta: di una limpida semplicità che, proprio per questo, nasconde profondità inaspettate nella fine tramatura. E sarà perciò rimesso allo sguardo, alla consapevolezza delle diverse età restare nella luminosa superficie o lasciarsi invece andare sul fondo, dove pochi sanno arrivare. Sicché leggendo, bambini, questa “storia”, se ne ritroverà da adulti un’altra ancora: sempre la propria, nell’eterna, immutabile sua essenza. (Giovanni Nuscis)
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