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A proposito di “Vita contadina nel dopoguerra” Un testo così pieno di contenuti che anche il Sociologo avrà un bel da fare! Trattasi di un vero saggio sul mondo contadino che ci ha visto crescere: praticamente nulla è stato tralasciato di quel mondo. L’ autore ha fatto la scelta di trattare analiticamente gli argomenti uno per uno, dopo averli raggruppati per tipologia e presentati con corposi ed attenti corsivi, rivolti soprattutto a coloro che quel mondo così singolare lo scoprono “da vicino” per la prima volta. Io posso asserire che quanto raccontato non caratterizzava il solo Alto Orvietano, ma è perfettamente estensibile ad ogni contrada d’Italia di quegli anni, così poveri, ma così pieni di speranza: se faccio il confronto con il mio paese (del Sud) mi sentirei di scrivere le stesse cose, con una sovrapposizione del 95%. Eravamo anche noi al più basso scalino della scala sociale di allora: eravamo apostrofati con il termine dispregiativo di “cafoni di campagna”….. Bravi per la campagna, ma profondamente ignoranti per tutto il resto: un senso di inferiorità che tenevamo cuciti addosso e che ci faceva soffrire molto di fronte ai più fortunati. Mio nonno, quando parlava dei suoi “padroni” ai nomi premetteva il DON: erano Don Pasquale, e Donne Aurelia, Aurora e Maria, tutti non sposati, asserragliati in un palazzo nobiliare della limitrofa Castelvetere in Val Fortore. L’opera è talmente esauriente da farci sentire a pieno titolo negli ambienti di quegli anni. Essa mi è piaciuta molto anche perché disseminata di brevi frasi “taglienti” e di grande effetto. Un saggio da leggere e far leggere, in particolare nelle scuole e tra le nuove generazioni. A.P.
“Vita Contadina nel dopoguerra” è un bel testo, scorrevole e di piacevole lettura, che contiene elementi descrittivi dei diversi momenti della vita contadina del dopoguerra, anche tecnici, ma sempre arricchiti da profonde riflessioni, che inducono alla considerazione che l’attuale società, tutta business e digitalizzazione, avrebbe grande vantaggio a mantenere vivi i valori di coesione ed aiuto reciproco propri della cultura tradizionale. La gente dei campi viveva di solidarietà attraverso lo scambio del pane, la mietitura, radicati nella terra come se fossero tutt’uno con essa; il ritmo del tempo non era quello della frenetica vita odierna, ma quello degli eventi naturali: l’alba e il tramonto per scandire le giornate, le stagioni per definire il da farsi. Il libro è una preziosa raccolta, nella quale i diversi momenti di quotidianità vengono descritti minuziosamente per gli aspetti più caratteristici e significativi, e si rivolge soprattutto alle nuove generazioni, quale testimonianza di valori che si stanno perdendo, soffocati da un’innovazione tecnologica che spersonalizza, separa e spinge la società verso continue trasformazioni. Nel mondo legato alla tradizione, invece, c’è la risposta ai problemi del nuovo, c’è il valore dell’inclusione e della collaborazione, l’intelligenza del recupero, la valorizzazione dei prodotti e soprattutto l’amore e il rispetto per la terra, che crea identità.
Se nel precedente libro di Naldo Anselmi "Una favola che si fa vita" il taglio era decisamente autobiografico in "Vita contadina nel dopoguerra" gli orizzonti si ampliano e i temi sono di carattere socio-culturale e storico. Ma chi come me ha apprezzato e il primo libro non può non ritrovare in questo lo stesso entusiasmo per la vita quotidiana, lo spirito di osservazione, la voglia di conoscere, l'interesse per persone e cose, la sensibilità umana e lo stile garbato dell'Autore. Il libro descrive, ricucendo episodi, ricordi, personaggi, eventi, paesaggi, la vita contadina nell'Italia centrale, negli anni che seguirono ad un evento epocale, la seconda guerra mondiale, che avrebbe trasformato per sempre lo stile di vita di intere popolazioni e cancellato un mondo che affondava le sue radici nella storia degli antichi popoli latini. Le citazioni di Virgilio, così armoniosamente inserite nel contesto, non sono sfoggio di erudizione ma consapevolezza di profondi legami con una cultura millenaria. Storia e dettagli, o per meglio dire la storia raccontata attraverso i dettagli, rendono viva e piacevole la lettura. Il senso di nostalgia che pervade il racconto si scontra e spesso prevale sulla razionalità con cui si analizzano e accettano i cambiamenti come fatto ineluttabile e il nuovo stile di vita come superamento di una condizione di isolamento e arretratezza. Sono rimasto colpito dalla ricchezza di dettagli, usanze, episodi e personaggi. Ho vissuto anch'io da ragazzo la civiltà contadina della "mezzadria", anche se dalla prospettiva del 'padrone', come affettuosamente lo definisce Naldo Anselmi, ho anch'io la stessa percezione del senso di solidarietà e comunanza tra chi viveva in campagna, leggere il libro è stato come volgersi indietro e fermarsi a guardare il tramonto. Mi piacerebbe che mio nipote adolescente lo leggesse come si leggerebbe una favola.
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