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Anno edizione: 2021
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Gli autori meridionalisti parlano sempre di Regno di Sardegna che avrebbe "invaso" il Regno di Napoli, ma praticamente non parlano mai di "invasione" degli altri stati pre-unitari, come il Lombardo-Veneto, Ducati di Parma e Modena, Granducato di Toscana e Stato Pontificio .... eppure questi stati vennero occupati e VINTI come il Regno di Napoli, ... per gli autori meridionalisti è come se a differenza del Regno di Napoli, gli altri stati pre-unitari fossero stati una specie affine al Piemonte e quindi in pratica dei co-invasori impliciti del Sud ... è evidente che il Sud semi-feudale del 1860 presentava caratteristiche poco compatibili con quelle dello stato moderno costituzionale con economia liberale portato dal Piemonte, infatti tutti gli altri stati pre-unitari hanno saputo adattarsi al nuovo modello statale e crescere come e in diversi casi anche più dello stesso Piemonte, mentre il Regno di Napoli no. Per dirla breve il Sud del 1860 non era pronto per far parte della Nuova Italia e la questione meridionale ne è una conseguenza. Sulle origini della questione meridionale pesano molto le dominazioni spagnola e borbonica.
Il libro di Di Fiore è utile per conoscere i motivi e i modi della sconfitta borbonica. La mia unica riserva è costituita dal suo taglio troppo esclusivamente militare, con dettagli che, in assenza di cartine adeguate, diventano facilmente un ingombro alla lettura. L'impegno con cui l'autore indica nomi e biografie di piccoli e grandi comandanti dell'esercito napoletano attesta la puntigliosità della sua ricostruzione storica e, penso, la commovente intenzione di rendere omaggio a quanti avevano combattuto con fedeltà e coraggio. Mentre mi sembra sempre più chiaro che la disgregazione sociale dell'Italia di oggi nasce dalla corruzione di allora (borbonica, certo: di generali venduti a Cavour; ma anche del Piemonte, che aveva corrotto, intrigato e falsificato), leggo su Repubblica, quotidiano per liceali pensosi, le insopportabili frasi fatte dei suoi più qualificati collaboratori. Il 10 agosto Lucio Villari scriveva, con uno stile da teologo, che Cavour ha portato "il Piemonte e l'Italia dal regno della necessità a quello della libertà". Il 14 settembre Corrado Augias, rispondendo ai dubbi di un lettore, affermava, col tono categorico di un avvocato difensore: "L'errore peggiore che si possa fare parlando del Sud è rivangare la 'conquista piemontese'." Oggi Augias e Villari sono insieme a raccontare, in una serie di 12 DVD intitolata 'Italiani', la "storia di un popolo diventato nazione". Che patriottismo! Chapeau!
Documentata ricostruzione storica delle vicende poco edificanti che hanno portato all'unificazione nazionale in poco meno di tre anni circa 150 anni orsono, da parte di quelli che la retorica Risorgimentale ha - da sempre - riconosciuto come 'padri della Patria'. Di Fiore si aggiunge alla nutrita schiera degli storici che, con onestà intellettuale e da oltre 30 anni, contribuiscono con le loro pubblicazioni alla corretta ricostruzione storica di quei personaggi e di quei fatti preunitari. Concreta rimane l'aspettativa di veder pubblicati ulteriori aggiornamenti sull'argomento da parte dello stesso autore che consenta di poter lumeggiare totalmente la colonizzazione piemontese del Sud, con l'apporto finanziario e militare di Francia ed Inghilterra, unitamente agli illustri rappresentanti della Massoneria europea. Edificante, da ultimo, la descrizione della strenua difesa di Gaeta da parte di quelle milizie dell'Esercito Borbonico che, prima di essere smembrate e trasferite nelle carceri e nelle fortezze del Nord preferirono rendere onore al loro legittimo sovrano Francesco II di Borbone ed a sua moglie Regina Sofia lasciando alla storia la memoria di una fedeltà mai tradita. Lettura indispensabile. Ottima non solo per gli appassionati e gli storici ma anche per gli studenti che, purtroppo, ignorano ancora oggi, queste importanti verità.
Recensioni
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È appassionata la ricostruzione degli ultimi sei mesi del regno di Francesco II, dalla vigilia dell'abbandono di Napoli, sotto la pressione dell'offensiva militare garibaldina e dei maneggi cavouriani, fino alla capitolazione di Gaeta, il 13 febbraio 1861, dopo quasi cento giorni di resistenza disperata, di preghiere e bei gesti, di ricerca infruttuosa di un sostegno internazionale e di proteste per l'enormità del torto subito, con la certezza di trovarsi dalla parte giusta, anche se votata alla sconfitta, e un bilancio definitivo di 895 militari e oltre cento civili morti, uccisi dai proiettili o dal tifo, tra gli assediati. Fu questa, vista dalla parte degli sconfitti, la fine di un regno di tradizioni secolari, guidato dalla dinastia Borbone per centoventisette anni, sfaldatosi fra la dappocaggine di tanti che avevano responsabilità di comando, i voltafaccia di non pochi e la lealtà di molti.
Su tutto ciò sono stati versati fiumi d'inchiostro, anche di recente, da nostalgici e "revisionisti" in senso corrente, ma pure da studiosi seri: il bel volume dell'Università di Napoli sul crollo dello stato, curato da Paolo Macry, è del 2003. Di Fiore si inserisce senz'altro tra questi studiosi, per l'ampiezza dello scavo, l'uso di nuove fonti, la competenza; eppure anch'egli paga dazio a una visione antirisorgimentale che ha talvolta il sostegno di certi quotidiani (anche grandi), e di alcune forze politiche, caratterizzata da dogmatismi e distorsioni non minori di coloro che avevano le idee opposte, sabaudiste e teleologiche. Per rivendicare "la dignità storica di quei vinti del Risorgimento" appare fuori luogo evocare la necessità di superare "il mito risorgimentale dell'Unità": la pietas verso coloro che combatterono sino all'ultimo per l'onore militare e il principio di legittimità dinastica non ha bisogno di postulare la permanenza di una mitologia patriottica, che è stata sì alimentata dalla storiografia otto-novecentesca, ma che non può certo essere accollata agli studiosi successivi, di ispirazione liberale, azionista, o gramsciana, assai critici con quella visione oleografica del Risorgimento, né alla storiografia attuale, che è tornata sul processo di unificazione per indagarne le pratiche culturali e simboliche, la costruzione delle identità e – appunto – dei miti.
Polemizzare con la "conquista" piemontese e azzerare lo scontro politico tra moderati e democratici; ribadire che vi fu violazione del diritto internazionale (quello del Congresso di Vienna) e che i Borbone avevano "affinità con il popolo più basso", ma trascurare l'ampiezza dell'opposizione liberale interna e l'inefficienza dello stato napoletano: tutto ciò finisce con l'appiattire l'analisi dello studioso sul punto di vista di Francesco II. La conseguenza è quella di lasciar fuori dal quadro generale il ricchissimo intreccio di ribellioni ed esperienze costituzionali, di propositi riformatori e occasioni mancate, di dibattito sulle idee di nazionalità e sovranità popolare, di errori e repressione che sta a monte degli avvenimenti di quei mesi e che sommandosi a un attacco esterno determinò il crollo della dinastia. Che poi, quasi tutti, identificassero quel popolo cui doveva passare la sovranità con i ceti medi dotati d'istruzione e di beni, e che i vincitori siano stati particolarmente duri con i soldati borbonici che non vollero arruolarsi nell'esercito italiano – ma si ricordi anche la bolgia infernale di Andersonville, Georgia, dove in quegli stessi anni i confederati, che avevano un alto senso dell'onore militare, fecero morire di freddo, fame e malattie i "fratelli" nordisti – è un'altra questione.
Silvano Montaldo
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