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In questo romanzo il vero protagonista è l'odio, la rabbia di una bambina intelligente - ma sola - verso un mondo che avverte come freddo, ipocrita e insensato. Lo stile di Irène Némirovsky è vivido e schietto. Il risultato è tremendamente intenso, l'ho letto d'un fiato. Mi ha lasciato per giorni una sensazione di inquietudine. Pensandoci, consiglierei la Némirovsky a tutti quelli che conosco.
Irene Nemirovsky è una scrittrice talmente fuori dall'ordinario che è capace di far cantare anche le pietre. Il suo stile è melodioso, le sue analisi psicologiche finissime e i suoi personaggi vivi. Per questo una valutazione negativa come la mia va relativizzata. 'Il vino della solitudine' non è un gran libro, perché non è stato scritto davvero per il pubblico. Il destinatario è Irene stessa. Una sorta di diario intimo, in cui si confessa il difficile rapporto con la madre, il quale sarà uno dei refrain della sua intera opera, e si racconta un'educazione sentimentale piuttosto complicata. Forse l'essere uomo ha il suo ruolo, ma personalmente mi sono sentito poco coinvolto in queste problematiche. Comunque una lettura di sicura qualità.
Nessuno come la Némirovsky è in grado di descrivere i sentimenti dell'animo umano....è un piacere leggere i suoi libri.
Recensioni
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Torna in libreria dopo oltre sessant'anni il più autobiografico dei romanzi di Irène Némirovsky, Il vino della solitudine, pubblicato in Francia nel 1935 e in Italia nel 1947 da Elios. Lo ripropone oggi Adelphi, che dal 2005 pubblica le opere della scrittrice, nella traduzione di Laura Frausin Guarino. Ebrea di origini russe, scrittrice in francese, Irène Némirovsky scrive del suo tempo trovandosi immersa in esso, cronista lucida degli sconvolgimenti storici che travolgeranno l'Europa e la sua vita. Un'esistenza segnata non solo dalla malinconia di una lacerazione familiare ma anche da una specie di schizofrenia culturale e identitaria, dalla mancanza di un riconoscimento pubblico e dalla persecuzione razziale.
Si apre con il ritratto di una famiglia riunita per la cena, questo romanzo fin dalle prime battute così familiare e intimo della Némirovsky.
Siamo in una sonnolenta e triste città di provincia nel cuore della Russia. Non ci vuole molto per riconoscere in Hélène bambina la stessa Irène. Bastano pochi accenni: Hélène ha otto anni, una madre narcisista e frivola (Bella) che la odia e non perde occasione per rimproverarla, un padre assente che è spesso in viaggio per lavoro e che non ha occhi che per sua moglie. Litigano spesso, urlano, si rinfacciano la giovinezza perduta con il matrimonio. In quei momenti Hélène si rifugia tra le braccia di Madamoiselle Rose, la governante francese che si dedica alla sua educazione, l'unica che le vuole bene. Tutte le sere prega Dio di preservare dalle malattie il padre e Madamoiselle Rose, nutrendo una vaga speranza omicida verso la madre.
Il terrore della solitudine e della morte, la paura che Madamoiselle Rose se ne vada un giorno e non torni più, sembrano far parte di un'oscura eredità familiare che le giunge dalle angosce della madre e della nonna. Nelle lunghe domeniche che passa da sola con la nonna mentre Madamoiselle Rose va da alcune amiche francesi, preda dello sconforto, Hélène si sente impotente, le sembra di percepire tutta la solitudine del mondo inondarle il cuore e spingerla a fondo, fino ad annegare.
Ma anche "la vita di Hélène, come tutte le vite, aveva la sua oasi di luce": i gioiosi mesi estivi che ogni anno la bambina trascorreva a Parigi, dove si sentiva a casa e poteva annusare il profumo della felicità, con la madre e Madamoiselle Rose.
Adesso che Hélène ha dieci anni e il padre ha fatto fortuna con lo sfruttamento dei giacimenti d'oro in Siberia, sua madre può dedicarsi alla vita dissoluta nella passionale città francese. Intanto Hélène cresce, il suo corpo diventa ogni giorno più aggraziato.
1914: scoppia la guerra e la famiglia Karol si sposta a Pietroburgo.
Qui, mentre il padre è fuori per lavoro, Bella instaura una relazione con il giovane cugino Max. La Rivoluzione si avvicina e alla fine invade le strade della città. Il clima degli affari e l'atmosfera in famiglia si fanno sempre più tesi. Hélène non riesce a nascondere al padre l'infedeltà della madre.
Scoppia una lite furibonda, Madamoiselle Rose viene cacciata. Pochi giorni dopo sarà trovata senza vita su un marciapiede della città. Si è spenta dopo che il delirio della pazzia l'aveva invasa, ormai sola, senza più nessuno di cui occuparsi. Così Hélène ha perso quel poco di dolcezza che aveva avvolto la sua infanzia infelice, e si ritrova di colpo adulta, cosciente del dolore che la vita riserva, determinata a vendicare presto o tardi il male che la madre ha seminato intorno a sé.
Intanto la famiglia è costretta a fuggire dall'avanzata della Rivoluzione tra la Finlandia e le pianure gelate della Russia, dove Hélène ha per la prima volta la consapevolezza del suo fascino e del suo inebriante potere di donna.
Bella invecchia, il trucco copre ma non riesce a nascondere le rughe del suo volto, la bellezza di un tempo appassisce e si copre di ridicolo, mentre Hélène è nel fiore della sua gioventù. Approdati infine in Francia, i litigi tra Max e Bella si fanno sempre più frequenti e aspri, perduta la follia d'amore che li aveva legati negli anni giovanili. Niente al mondo, adesso, può far soffrire Hélène, forte dei suoi intenti egoistici di vendicarsi della madre, in un modo o nell'altro, rinfacciandole ogni giorno la spudoratezza dei suoi diciotto anni e il suo nuovo potere su Max. Non sarà difficile conquistare l'uomo della madre, per accorgersi poi di non essere migliore né diversa da quella donna avara di affetto, di avere lo stesso sangue avvelenato e amaro che scorre nelle vene. Così Hélène sceglierà una strada diversa da quella percorsa negli anni da sua madre: la strada dell'orgoglio, del perdono verso una donna che ha fatto della sua infanzia un deserto senza amore ma che adesso può suscitarle solo pena o indifferenza.
"Sono stati anni di apprendistato" pensò Hélène, finalmente libera, sola, lontana ormai da casa. "Terribilmente duri, è vero, ma che mi hanno temprata, hanno rafforzato il mio coraggio e il mio orgoglio. E questo mi appartiene, è la mia ricchezza inalienabile. Sono sola, ma la mia solitudine è aspra e inebriante". Come un vino è l'ebbrezza della solitudine di chi si incammina per una nuova strada illuminata dal sole, verso un destino che si deciderà da sé, verso una vita che sarà una sorpresa e ci coglierà sempre felicemente impreparati.
Pochi giorni prima di essere arrestata, stilando l'elenco delle sue opere sul retro del quaderno di Suite francese, la Némirovsky scriveva accanto al titolo di questo romanzo: "Di Irène Némirovsky per Irène Némirovsky". Si delinea così chiaramente il senso di questo racconto fortemente autobiografico e carico di dolore: un tentativo di fare pace con il passato, di scrivere la parola fine a un'infanzia priva di amore per avventurarsi nel mondo pronti per accogliere con gioia i doni della vita.
Da un'infanzia infelice, scrive la Némirovsky, non si guarisce mai. Eppure "non si può essere infelici quando si ha questo: l'odore del mare, la sabbia sotto le dita... l'aria, il vento..."
A cura di Wuz.it
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