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Vij, come si trovò a dire lo stesso Gogol', «Codesta storia è tutta una leggenda popolare. Mutarla in alcunché non ho voluto e pressoché con la stessa semplicità con cui l'ho udita, la racconto».
Un giovane e sventurato seminarista, una vecchia fattucchiera, una graziosa fanciulla defunta, tre notti di litanie, i demoni e lui, il Vij. Una fiaba dell'orrore, una mistura di ingredienti realistici, fantastici e grotteschi nella pura tradizione gogoliana già sperimentata nelle Veglie alla fattoria presso Dikan'ka, l'abilità di mescolare il tutto con sapiente maestria, di attirare il lettore in una spirale di emozioni, dopo avergli fatto sorseggiare l'intruglio magico della lingua russa ottocentesca. Vij, apparso per la prima volta nel 1835 all'interno della raccolta Mirgorod, è tutto questo. È una serie di situazioni rocambolesche che il giovane Chomà Brut si trova ad affrontare dall'arrivo in una fattoria maledetta fino alla veglia del corpo di una giovane cosacca. È la contrapposizione tra il realismo diurno e il fantastico della notte. È un breve affresco della perenne battaglia tra la luce e le tenebre.
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