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recensione di Puccini, S., L'Indice 1997, n.11
Giovanni Battista Bronzini ha dedicato un libro originale e ricco di suggestioni a Carlo Levi, riproponendo brani dei suoi testi più significativi in brevi appendici antologiche (che corredano quasi tutti i capitoli) e interpretandone l'opera attraverso la chiave di lettura offerta dall'analogia con l'esperienza del viaggio.
Nella biografia intellettuale di Levi il viaggio non è un accidente episodico e neppure solo un evento reale. In primo luogo perché la vita dell'artista piemontese è scandita da una serie di viaggi significativi (dall'esilio lucano ai viaggi in Sicilia, in Unione Sovietica, in India), che seguono direzioni non casuali. In secondo luogo perché per Levi il viaggio non rappresenta soltanto un tragitto reale, uno spostamento nello spazio, ma è anche un percorso ideale, un procedere dell'immaginazione.
Non solo, dunque, i viaggi hanno un posto importante nella vita di Levi; ma egli per primo li avverte come attraversamenti di mondi diversi e interpreta le scansioni della sua vita come transiti dai profondi significati emotivi. A cominciare dal carcere e dall'esilio per giungere fino all'ultimo viaggio: quello - metaforico e tutto mentale - nella malattia, al termine del quale non c'è alcun ritorno a casa ma solo l'estrema, definitiva separazione dal mondo dei vivi.
La linea seguita da Bronzini - frammentaria, talora tortuosa e sempre densa di richiami simbolici - sembra dunque essere imposta dagli stessi vissuti di Levi, così come ci vengono restituiti dalla sua scrittura e dalla sua pittura. Al centro - vero generatore di metafore e di miti - sta il viaggio più famoso, il primo, quello in Lucania. Viaggio coatto, che acuisce la sensibilità e la visione del viaggiatore portandolo alla scoperta di un altro mondo che, nella percezione di Levi, sta "oltre Eboli", alle origini della storia, quasi allo stato di natura.
È nel ripercorrere questo viaggio iniziatico (una sorta di discesa agli Inferi, "un viaggio senza ramo d'oro, nei paesi grigi dei trapassati", come scrive Levi) che Bronzini dispiega le sue doti di narratore e di ascoltatore dei sentimenti e delle emozioni leviane, mostrando la sua capacità di usare l'antropologia come filo conduttore "denso" che consente di unire frammenti di scrittura e segmenti di storia umana per ritessere una esperienza artistica e umana. Si crea così un fitto gioco di rimandi, sovrapposizioni e assimilazioni tra l'autore e il suo personaggio: un esempio, a tratti assai penetrante, di esperimento e pratica dialogica, di rapporto emotivo e intensamente partecipato tra il soggetto che osserva e il suo oggetto di indagine.
Ne emerge una biografia originale, nella quale le metafore di cui è ricca la riflessione di Levi vengono amplificate e spinte alle loro estreme conseguenze, fino a divenire trasparenti apologhi della condizione dell'intellettuale "civile" ed europeo di fronte alla remota, immobile diversità dei subalterni di ogni meridione.
Bronzini rintraccia, per ogni tratto del cammino, le suggestioni letterarie e le influenze antropologiche che accompagnano Levi nei suoi spostamenti: dalla risonanza del mondo classico a Frazer, dagli echi della cultura ebraica a Lévy-Bruhl e alla psicologia junghiana, per finire con una vera e propria interiorizzazione compiuta dal Levi scrittore della poesia di Rocco Scotellaro. Così, il viaggio in Lucania - e gli altri che a esso seguiranno - sono delineati come percorsi di avvicinamento all'"altrove" e all'"alterità", a mondi sospesi e senza tempo che assumono le tinte mutevoli (e pittoriche) dell'arcaico, del primitivo, del naturale; mondi nei quali non è giunto Cristo ma neppure la crisi dell'Occidente e che rappresentano perciò una salvezza estrema dall'angoscia del moderno.
In questa visione, com'è chiaro, gli abituali schemi politico-ideologici adoperati per analizzare l'opera di Levi e collocarla nella storia italiana sono scardinati, divengono inessenziali o sono ricompresi nella lettura fortemente poetica, intima e interiore di tutto il suo lavoro.
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