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(recensione pubblicata per l'edizione del 1988)
recensione di Piretto, G.P., L'Indice 1989, n. 2
Lo stesso autore lo ha definito un romanzo storico, un mezzo per parlare del presente tramite il passato. La meta del viaggio che dà il titolo all'opera sono le isole Solovecki, luogo di eremitaggio, sede di un monastero, presentate come sito mistico ed esclusivo fin dalle prime battute, quando i due protagonisti della storia di oggi si apprestano a partire per un'escursione. I due personaggi, Egosin e Borskij, stanno per la società sovietica, tracciata ed evocata da esperienze del loro passato, stralci di vita, quotidiani contrasti tra intellettuali e gente del popolo, diritti e privilegi, minacce e concessioni, "si può" e "non si deve" della vita di tutti i giorni. Il Mar Bianco e le sue isole, lontane e difficili da raggiungere, cominciano a prendere corpo in una dimensione che non è solo quella turistica, assieme alle reminiscenze dell'epoca dello zar Ivan il Terribile. Egosin, fra le peripezie della traversata, evoca la figura di Filipp, antico padre igumeno del monastero, attraverso la visione della natura del luogo su cui il monaco intervenne beneficamente negli anni del suo soggiorno sull'isola. La realtà contemporanea e contingente continua ancora per un poco ad affacciarsi, alternandosi nell'intreccio alle visioni passate del monaco Filipp Kolycëv, per cedere presto ad una dimensione spazio-temporale indefinita. Il nome del monaco, pronunciato nella sua interezza, collegato alla flora e alla fauna che il protagonista odierno vede attorno a sé, porta la narrazione indietro nel tempo fino al primo incontro avuto da Filipp con lo zar e alla discussione tra di loro su questioni di priorità di potere umano e divino, in cui lo "starec" mai cederà alla superiorità politica del sovrano. La narrazione procede ora interamente ai tempi di Ivan il Terribile, al momento in cui convocò a Mosca padre Filipp per nominarlo Metropolitano della chiesa ortodossa. Il rapporto tra i due si bilancia tra adulazione e scherno, minacce e ossequio, provocazione e arrendevolezza ma con una chiara e manifesta tendenza del Metropolita a non cedere ai capricci di potere dello zar, dal quale verrà poi deposto, imprigionato per finire strangolato dalle mani del terribile Maljuta Skuratov, braccio destro di Ivan. La storia del passato s'interrompe a questo punto, quando Egosin "si sveglia". Si è trattato di un sogno, si è trattato di uno stato di trance? La gita turistica continua. Si visita il monastero e compare un nuovo personaggio: il "rosso", invadente e strafottente giovanotto, spiritoso a tutti i costi, rappresentante della società odierna, che per bizzarria del caso o volere del destino si trova a parodiare Maljuta Skuratov e a ripercorrerne i passi e le azioni. Infrangerei le regole della suspense se commentassi fino in fondo lo svolgimento dell'azione? Mi limito a dire che il rapporto tra storia passata e storia presente sarebbe già stato eloquente e chiaro senza l'ambiguo e misterioso finale. L'evocazione storica indulge talvolta in particolari tra l'aneddotico e il leggendario, concedendo forse troppo spazio a coloristiche ricostruzioni, non ultima la commozione dello stesso Maljuta di fronte alla grandezza d'animo di Filipp. I problemi di censura che il romanzo incontrò in Unione Sovietica sono evidenti, sintetizzabili in una battuta che l'autore fa pronunciare nel romanzo a un poliziotto: "Del presente ci parleranno e lo criticheranno solo tra qualche anno...".
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