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S. depone nei suoi versi via via una elegante critica della omogeneità globalizzante e della sterilità presenti nel progressivo processo di tecno-razionalizzazione della vita pubblica; ma al di là dei dubitosi silenzi e delle recriminazioni e dei leciti dubbi è capace di trovare qualcosa di positivo. Paradossalmente ciò è il linguaggio poetico, la bellezza salvatrice della parola. Attraverso il suo mistero può esistere la Casa dell’essere, l’ala protettrice dall’alto, che guida a sé la coscienza poetica, la quale si interessa al linguaggio nelle tenere lotte del fare poesia, mettendosi in ascolto—figlia dell’heideggeriano «zuhören»—di ciò che nel linguaggio un dio ha messo di misterioso e, al medesimo tempo, limpidamente rivelatore. S. non si tira indietro davanti al timore reverenziale che la parola incute, né getta sospetti sulla sua integrità, sa che il pristino tempio del linguaggio della mitologia, di Dante, di Goethe finisce sempre per riaffiorare dagli informi detriti della modernità. La pazienza dell’ascolto del mondo, porta nel tempo i suoi frutti, qualunque sia il costo quotidiano da pagare. Certo non si avrà davanti il mosaico nel suo splendore originario, ma quegli incantevoli “fiumi d’inebriata trascendenza” (G. Benn) che venano la sostanza della sua poesia. [La prefazione è di F. D’Episcopo ed offre al lettore utili spunti di riflessione sulla poesia di S., definita “sfogo dell’anima” e “poesia morale”, e sulla presenza attiva in S. della Classicità, partendo da Catullo e Ovidio; vi sono inoltre contenute utili considerazioni sulla struttura poetica del libro. Accanto alla prefazione è di godile lettura la nota di Gros-Pietro che osserva le poesie di S. con particolare attenzione al rapporto fra vita vissuta e passione letteraria, intuendo con sottigliezza ciò che lega questi versi alla “memoria collettiva” rappresentata “dalla Bibbia e dalla mitologia classica”: “formula di un’esperienza dilatata indefinitamente grazie all’avventura della poesia”].
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