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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non il suo libro migliore, ma mi mancava
Bellissimo questo libro, davvero una piacevole sorpresa. Da amante dei viaggi e della letteratura, direi quasi che Tabucchi ha scritto uno dei migliori libri di viaggio che abbia mai letto, nonostante la sua dichiarata intenzione di non scrivere un libro di viaggio. Ma tant'e'.
Solo io ho avuto la sensazione di un libro pubblicato tanto per pubblicare? Tabucchi è un Maestro con la M maiuscola, uomo dotato di cultura immensa e di facilità di scrittura. Troppo facile, per lui, un libro così. Da presentare in Televisione e in grandi librerie affollate.
Recensioni
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Su un planisfero, in coda al libro, sono segnati tutti i luoghi di cui si racconta. Da Québec a Sidney, da Cancún a Kyōto; da Holstebro, Danimarca, a Elephanta, India. Da un capo all'altro del pianeta, con una valigia leggera, Antonio Tabucchi ha attraversato frontiere e climi, sorvolato terre, navigato mari e fiumi, macinato chilometri a piedi, in autobus, in treno. Fa molta impressione il colpo d'occhio su questa mappa fitta di puntini le numerose tappe, "le tessere del Viaggio che ho fatto finora". "A conti fatti, ho viaggiato molto, lo ammetto; ho visitato e ho vissuto in molti altrove", scrive Tabucchi. Sembra di vederlo, avventuroso e inquieto nel suo perenne trasloco, passare da una residenza all'altra, da un indirizzo all'altro; alle prese con orari ("Che cosa bella, gli orari!") e nomi di strade, intento all'esplorazione di case in prestito, piccoli monumenti, giardini, platani, quadri, cibi sconosciuti. D'altra parte, l'elaborazione stessa di questo libro può vantare una sua agenda mobile: soste a Parigi, a Roma e a Vecchiano, provincia di Pisa; telefonate dell'autore al curatore da Lisbona e dal Café Gervásio di Alcácer do Sal, basso Alentejo, Portogallo; da una locanda di Creta e perfino dal monte Sinai.
Viaggi e altri viaggi è nato dal desiderio di mettere ordine nell'archivio del Tabucchi viaggiatore: tra gli anni ottanta e i duemila, le occasioni editoriali e giornalistiche per raccontare luoghi visitati sono state moltissime. I testi diversi per destinazione e misura, "a loro modo alla deriva" attendevano di essere riletti e ordinati, ampliati o ridotti, in alcuni casi completamente riscritti. Ma quale criterio, nell'organizzare il libro, avrebbe dovuto prevalere? Si doveva dare più ascolto alla storia o alla geografia? In realtà, una delle distinzioni più rilevanti per Tabucchi sembra proprio quella a cui allude il titolo: tra i viaggi veri e i "presunti", tra quelli compiuti e quelli mai compiuti però sognati, ascoltati, soprattutto letti nei libri degli altri.
"Ti ricordi quando non siamo andati a Samarcanda?" domanda uno dei mittenti di un "romanzo in forma di lettere" di Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi (2001). "Scegliemmo la migliore stagione dell'anno, l'inizio dell'autunno". Il movimento di Viaggi e altri viaggi non perde mai di vista l'idea astratta dei luoghi, l'idea pura, incondizionata, pregiudiziale che si forma nella nostra testa: magari, come accadde al bambino Antonio, sfogliando l'atlante "magico" della De Agostini. "Era quello, il mondo. E quella è stata la mia prima idea della Terra. Per me era immutabile e sicura". È possibile abitare un luogo senza esserci mai stati, sperimentare la vigilia di non partire mai, come l'ha definita Pessoa. È possibile invece, affidandosi ai mezzi di trasporto (perfino il carretto della bellissima foto di Doisneau in copertina), viaggiare realmente. È allora che l'idea del luogo si mette a contatto, a confronto con il luogo stesso; alimenta la concretezza della visione o da essa viene sovvertita. In ogni caso, agisce.
Il paesaggio, per Tabucchi, non è mai nudo. Anche la zona più scabra risente del nostro sguardo umano, della nostra presenza lì e di quella degli altri intorno: "Un luogo non è mai solo 'quel' luogo: quel luogo siamo un po' anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati. Ci siamo arrivati il giorno giusto o il giorno sbagliato, a seconda, ma questo non è responsabilità del luogo, dipende da noi. Dipende da come leggiamo quel luogo, dalla nostra disponibilità ad accoglierlo dentro gli occhi (
). Dipende da chi siamo nel momento in cui arriviamo in quel luogo. Queste cose si imparano con il tempo, e soprattutto viaggiando".
Viaggi e altri viaggi in fondo è questo, è un esercizio di lettura: di città, paesi, strade, montagne, fiumi, isole. Tabucchi legge i libri come legge i luoghi: gli uni e gli altri in quanto depositi di voci, di storie, di tracce umane. Si immerge negli spazi così come si dice "immergersi in un romanzo"; si cala in quel clima, in quelle abitudini, fino a pensare ciascun luogo come un possibile luogo natale. Non è forse così che si dovrebbe pensare? Siamo nati qui, o qui, ma è soltanto un caso, più o meno felice.
Nel maggio tiepido di Parigi o durante una tempesta di settembre su Vecchiano, in lotta con i dubbi e con un computer che aveva inghiottito l'intero lavoro, il raccontare di Tabucchi usciva e rientrava dal libro in cantiere. Al curatore era dato ritrovare, nella voce vera dell'autore, le stesse movenze e qualità delle parole su carta. La stessa capacità di indicare ciò che merita di essere guardato, di controbilanciare il sublime (dalle altezze del pensiero al gusto della tavola), lo stesso amore per le piccole divagazioni, deviazioni, soste, nei discorsi e nei viaggi. La stessa passione per le storie, semplici o erudite, raccolte per caso, e per i segni della gentilezza altrui; il gusto della differenza e del cambiamento. Soprattutto, nelle giornate di Antonio e sulle pagine di Tabucchi, la stessa inquietudine: negli occhi, nelle mani che muovono veloci sigarette e segni nell'aria, nell'umore che balla, la stessa ansia d'ignoto che lo fa scrivere, lo fa viaggiare.
Paolo Di Paolo
«Un luogo non è mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati.»
Certamente Antonio Tabucchi nella sua vita di uomo e di scrittore ha viaggiato molto. E dei suoi viaggi ha scritto in sedi disparate, con interventi su riviste e giornali, con un effetto sino a oggi dispersivo. Questo suo nuovo libro inverte la tendenza, chiama all’appello i luoghi visitati e rivisitati e le scritture che li hanno raccontati. È un’opera speciale, nella quale Tabucchi rimodella luoghi, viaggi e romanzi; è un libro che sulla mappa del mondo apre quel bagaglio contiguo delle tante letture che hanno anticipato e accompagnato i viaggi dell’autore.
I luoghi di questi Viaggi e altri viaggi sono nomi, tappe, residenze, ma quel che più conta per lo scrittore pisano è la “civiltà del guardare”, del rammentare, del connettere i luoghi alla gente. Tabucchi viaggia, va e sosta, scoprendo, insieme alla bellezza, la diversità del mondo. Troviamo lo scrittore nel “suo” amatissimo Portogallo, in quella Lisbona che ha fatto da scenario a tanti suoi scritti, la patria del suo alter ego, il grande poeta portoghese Fernando Pessoa. Il percorso parte dal molo di Alcantara, alla stazione marittima, il cuore del porto di Lisbona. Poi si risale al Chiado, la zona elegante della capitale, lì seguiamo il protagonista di Requiem tra una sosta al caffè della Brasileira, la visita al Cemitério dos Prazeres, fino al belvedere più bello della città: il Miradouro de Santa Luzia, un terrazzato con maioliche del Settecento con una monumentale bouganvillea. Il tour della saudade termina immancabilmente nella piazza do Comércio, dove in epoca coloniale attraccavano i vascelli con le mercanzie dall’India e dal Brasile.
Nel libro ritroviamo altre mete carissime all’autore di Notturno indiano e Sostiene Pereira, che in qualche modo ne hanno segnato il percorso letterario e esistenziale: l’India, ovviamente, il Brasile, il Messico, ma anche l’isola di Creta in Grecia e tante città come Madrid, Genova, Barcellona, Il Cairo, Kyoto, attraversate con lo sguardo curioso del viandante, con la nostalgia e la gioia del flaneur, descritte con le parole del grande narratore.
Scrive Tabucchi: «ho visitato e ho vissuto in molti altrove. E lo sento come un grande privilegio, perché posare i piedi sul medesimo suolo per tutta la vita può provocare un pericoloso equivoco, farci credere che quella terra ci appartenga, come se essa non fosse in prestito, come tutto è in prestito nella vita». Lo aveva scritto anche il grande poeta greco Costantino Kavafis nella sua poesia intitolata Itaca: il viaggio trova senso solo in se stesso, nell’essere viaggio. E per Tabucchi questo è un grande insegnamento: il viaggio è come la nostra esistenza, il cui senso principale è quello di essere vissuta.
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