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Anno edizione: 1995
Anno edizione: 2019
Anno edizione: 1995
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Mi sarei risparmiata volentieri la lettura di questo libro. Le poche parti coinvolgenti non riescono a risollevare il resto. Lo stile di scrittura è buono, ma il contenuto è proprio ciò che manca.
Abbastanza buono
Pur essendo un amante della lettura con Gadda e Proust tra i suoi autori preferiti, nonchè buon conoscitore del contesto caraibico, ho stentato a comprendere "Una via nel mondo" e tutto quello che la recensione - invece - vi ha entusiasticamente trovato. La noia mi ha sopraffatto. Grato per eventuali, ulteriori delucidazioni al riguardo.
Recensioni
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recensione di Gorlier, C., L'Indice 1996, n. 2
Avevamo pensato in molti, dopo "L'enigma dell'arrivo", che, sotto il profilo della narrativa in senso stretto, Naipaul fosse arrivato a un punto morto. Si trattava, da un lato, della saturazione del materiale narrativo come tale, del termine di un percorso sanzionato dalla scena finale del funerale della sorella e dall'impegno di non tornare mai più al suo paese, Trinidad, neppure come frequentazione intellettuale; dall'altro, pareva che il conflitto molteplice di identità dello scrittore rendesse ardue altre esplorazioni, per lui, trinidadiano di matrice indiana rifiutato in patria ma pure aspramente contestato in India, inviso ai compatrioti di ascendenza africana e agli stessi africani, e infine, a onta della sua scelta di divenire cittadino inglese, in qualche modo "altro" per gli inglesi (la sua rivincita stava proprio, in "L'enigma", nell'astuto rovesciamento delle parti e della prospettiva da parte dell'ex coloniale o postcoloniale).
Ci eravamo sbagliati, almeno in parte, così come lo stesso Naipaul si era concesso una deliberata reticenza quando, alcuni anni or sono, mi aveva spiegato che i suoi progetti prevedevano il ritorno alla terza persona singolare, a differenza del romanzo dove la prima persona si imponeva, considerata la misura autobiografica. Dico soltanto in parte, perché il nuovo libro di Naipaul, "Una via nel mondo", che ora appare in italiano molto appropriatamente tradotto da Marcello Dallatorre, scompagina ogni definizione rigida di genere, e si articola su piani diversi anche se ammirevolmente intrecciati.
Le parti narrate in prima persona riguardano esperienze dirette dello scrittore, ove invenzione e cronaca, presente e memoria si scambiano di continuo: qui Naipaul si affida insieme alla misura narrativa vera e propria e a quella di cui ha offerto ripetutamente prove di considerevole livello (i due libri sull'India, quello sui paesi islamici, quello sul Sud degli Stati Uniti), secondo le caratteristiche di ciò che si chiama in inglese, con termine intraducibile, travelogue, ovvero, un poco approssimativamente, osservazioni, racconti di viaggio. Questa misura in qualche modo incastona il grosso volume, con toni assai variegati.
Si inizia con una sorta di 'Bildungsroman', di joyciano - ma molto liberamente - ritratto dell'artista giovane, per proseguire con una serie di incontri assolutamente esemplari, in cui il narratore concede largamente la parola al personaggio pur tenendo ben stretti i fili del discorso, e si conclude con una ripresa di possesso da parte del narratore, in chiusa. Al centro del libro si collocano due lunghe, dense parti, che spostano sia la dimensione spaziale sia la dimensione temporale, ove il narratore ricupera la terza persona singolare, e concede spazio all'immaginario storico, con due personaggi chiave: il gentiluomo, viaggiatore, cortigiano, esploratore e colonizzatore, poeta elisabettiano Walter Raleigh, morto nel primo Seicento sotto la scure del boia per ordine di Giacomo I nella Torre di Londra; il rivoluzionario venezuelano Ferdinando Miranda che di poco precedette Bol¡var e che, dopo effimeri successi, morì povero e pressoché dimenticato in Spagna.
Come si vede, Naipaul riprende possesso vigorosamente del paesaggio umano e geografico dei suoi Caraibi, a suo tempo da lui ripudiato, ma, mentre nei suoi grandi romanzi, da "Il massaggio mistico" a "Una casa per Mr Biswas", egli affrontava congiunture contemporanee, qui si sposta all'indietro, con un abbagliante e magistrale incastro di piani temporali e spaziali, fino all'età insieme concreta e leggendaria dell'Eldorado, quasi stabilendo un rapporto, nella sostanza assai differente, con l'altro grande scrittore delle cosiddette West Indias, Wilson Harris, che gli viene spesso e non di rado artificiosamente, quasi polemicamente, contrapposto.
Intendiamoci: la presa di coscienza, o, meglio, la rimessa in gioco dell'identità caraibica non risulta in alcun modo consolante, e in questo Naipaul rimane assai coerente con se stesso; solo, il cordone ombelicale stenta a rompersi, e quell'identità si trova continuamente - come dire? - rilanciata, frangendosi, come in un confronto di specchi, in infinite identità. Cruciale, in questo senso, la parte che riporta dell'incontro in aereo, durante un volo da Trinidad in Venezuela, con un ambiguo individuo, il quale insiste nel partecipargli la sua identità venezuelana, infarcisce il discorso di termini spagnoli, esibisce il suo passaporto venezuelano, ma si rivela poi a sua volta un trinidadiano di matrice indiana, il quale sta in effetti tentando di ripossedere quella matrice, persino in talune pratiche religioso-comportamentali. Ciò crea una situazione speculare con il narratore, in possesso di un talismanico passaporto inglese che peraltro non lo renderà mai davvero inglese.
Raleigh, colto in un lungo dialogo con il suo medico, al tempo stesso suo doppio, sua coscienza inquieta, ormai vecchio e malato, sulla nave alla fonda di fronte a Port of Spain, in Trinidad, ripercorre la propria vita, si misura con le proprie illusioni, sconfitte, menzogne (l'Eldorado, appunto), con la violenza, quasi lo stupro, inflitto alle terre conquistate, e si accinge a un ritorno dove lo attende la morte, recandosi appresso, ultimo tributo e prefigurazione del Buon Selvaggio, un nobile indigeno che in Inghilterra troverà accoglienza (la prefigurazione, ovviamente, tocca anche lui, Naipaul).
Miranda, dopo le sue affermazioni di rivoluzionario, proprio a somiglianza di Raleigh manifesterà "lo stesso genere di follia e di illusione". Eccoci qui di fronte a un riconosciuto paradigma di Naipaul, che si riflette nell'ultimo episodio. Un trinidadiano africano, in passato insofferente nei riguardi dei suoi conterranei indiani, e quindi dello stesso narratore che non prova per lui alcuna simpatia, fresco dei successi - e delle illusioni - politiche in patria, si reca in un paese dell'Africa orientale - verosimilmente il Kenya - nelle vesti di consigliere politico e qui ritrova il narratore. Ma quest'ultimo sa che si tratta di illusioni, e per di più pericolose, onde cresce in lui una forma di simpatia pietosa per l'altro, il quale sembra divenire ancora una volta un suo doppio. Il trinidadiano africano verrà ucciso a tradimento, e con l'arrivo della sua bara a Trinidad, con i suoi funerali, "Una via nel mondo" si chiude, analogamente a "L'enigma".
La morale, se vogliamo chiamarla così, è la stessa, conradiana, di un altro libro discusso ma cruciale di Naipaul, "Guerrillas". Non esistono rivoluzioni, le ideologie equivalgono a illusioni o a mistificazioni, e ciascuno combatte la sua guerra da solo, senza alcuna finale epifania, a differenza di Conrad. La prerogativa, il privilegio dello scrittore, consiste nel darne testimonianza, nel farne, appunto, discorso, insieme comunicandolo al lettore, distanziandosene, rendendone conto, tanto più quanto egli stesso si permette di entrare e di uscire di scena, osservatore e complice.
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