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Via Nazionale. Banca d'Italia e classe dirigente. Cento anni di storia - Alfredo Gigliobianco - copertina
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Descrizione


Analizzando i percorsi di carriera, le coordinate intellettuali, le reti di relazione, le decisioni cruciali dei banchieri centrali del passato, da Stringher a Menichella, da Einaudi a Carli, da Baffi a Ciampi, l'autore svela le origini della supremazia della Banca d'Italia nel sistema economico italiano, e al tempo stesso mostra la peculiare funzione di collegamento che i governatori hanno svolto fra i vari segmenti delle nostre frammentate élites: politici, industriali, banchieri, amministratori, scienziati. Attraverso le storie di vita dei protagonisti si ripercorrono temi di storia intellettuale, di storia economica, di storia delle istituzioni, dalla fine dell'Ottocento fino al dibattito sulla moneta unica.
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Dettagli

2006
18 maggio 2006
IX-404 p., ill. , Rilegato
9788860360366

Voce della critica

Il libro è dedicato allo studio, attraverso lo strumento della biografia collettiva, di una componente fondamentale della classe dirigente italiana: quella che ha gestito la Banca d'Italia dalla sua fondazione fino agli anni ottanta del Novecento. I personaggi ritratti sono in primo luogo i governatori. La Banca d'Italia nacque nel 1893, in un momento di profonda crisi istituzionale a seguito dello scandalo della Banca romana che travolse il governo Giolitti, a cui seguì la legge sul riordinamento degli istituti di emissione. Fu però soltanto negli anni 1900-1930 che la banca conquistò un ruolo centrale nel panorama istituzionale italiano.
La figura dominante fu quella di Bonaldo Stringher, successore di Giuseppe Marchiori, che aveva guidato la banca nel primo periodo. Nella gestione della moneta Stringher favorì un certo grado di discrezionalità, per poter fornire liquidità al sistema in momenti di difficoltà. Sul piano extrabancario svolse un ruolo di mediatore fra lo stato e gruppi capitalistici privati, o fra gruppi privati in contrasto. Nella fase di crisi economica e sociale seguita al primo conflitto mondiale diventò "in pratica il gestore pro tempore di una fetta consistente dell'industria e della finanza italiane". Con l'affermazione del fascismo lo spazio di manovra della Banca d'Italia si ridusse in ambito extraistituzionale, nello stesso tempo aumentando però il potere nel campo della gestione della moneta. Nel periodo successivo, dagli anni trenta fino agli anni della guerra, sotto il governatorato di Vincenzo Azzolini, si accentuò l'emarginazione della banca. Di fatto essa fu resa un semplice braccio operativo dello stato, anche se le vennero attribuiti importanti riconoscimenti formali: la legge bancaria ne fece un istituto di diritto pubblico, istituzionalmente incaricato dell'emissione monetaria.
Alla fine del biennio 1943-44, in cui la guida della banca fu affidata a commissari straordinari, fu nominato governatore Luigi Einaudi. Affiancato da Donato Menichella, Einaudi affrontò le questioni dell'inflazione e dello status della lira nel contesto internazionale. Per quanto riguarda la prima questione, con la stretta monetaria Einaudi riuscì ad arrestare l'inflazione, ma, secondo la non del tutto condivisibile ricostruzione dell'autore, l'ideatore e il propulsore della misura chiave della stabilizzazione monetaria, cioè la trasformazione della riserva obbligatoria da strumento di vigilanza in strumento di politica monetaria, fu Menichella e non Einaudi. Sul piano internazionale, Einaudi fu favorevole al trattato di Bretton Woods, ritenendolo sostanzialmente una riproposizione del sistema aureo. Quando Einaudi lasciò la banca fu sostituito da Menichella, il quale, nominato governatore nell'agosto del 1948, condusse una politica il cui tono generale fu ispirato alle idee di Einaudi, perseguendo la stabilità monetaria come mezzo per raggiungere in modo duraturo il fine di portare l'Italia fuori dall'arretratezza e dell'isolamento economico.
Nel periodo successivo, tra il 1960 e il 1979, anni in cui il paese dovette confrontarsi con grandi eventi traumatici, quali le rivendicazioni operaie, la crisi energetica, il crollo del sistema monetario internazionale, la banca fu guidata da Guido Carli e Paolo Baffi. Con Carli essa tornò ad assumere un ruolo centrale nella vita del paese: al ruolo fondamentale nel convogliare il risparmio verso l'investimento a fini di sviluppo, si aggiunse l'impegno in numerosi compiti extraistituzionali. Carli fu oggetto di giudizi contrastanti, rimproverato di occuparsi di troppe cose e di non focalizzarsi sulla stabilità dei prezzi. Egli stesso, in sede di bilancio finale della sua opera, osservò che l'aspetto negativo della sua partecipazione de facto all'esecutivo fu di coinvolgere la banca in una serie di decisioni di politica economica, talvolta privandola dell'autonomia e della libertà d'azione nel campo della politica monetaria.
Diversa la figura di Paolo Baffi. Studioso di valore, per lungo tempo a capo dell'ufficio studi della banca, fu di Carli un collaboratore critico, favorevole alle soluzioni liberiste e attento ai rischi di degenerazione burocratica. Come governatore il "motivo dominante della sua politica fu l'intento di ridar voce ai mercati", ma nelle situazioni di emergenza in cui si trovò a operare fece ampio uso di quegli stessi vincoli amministrativi messi a punto nel quinquennio precedente. Con il vicedirettore generale Mario Sarcinelli, cercò di contrastare i fenomeni degenerativi che si manifestavano in quegli anni, usando senza timori lo strumento delle ispezioni. Fu in questo contesto che i due vennero incriminati, accusati di non aver trasmesso all'autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo, in realtà un atto di ritorsione per atti di vigilanza sgraditi a gruppi economici intrecciati con partiti o correnti politiche di governo.
Il volume si chiude con un breve capitolo dedicato al governatorato di Ciampi e con un tentativo finale di classificazione dei banchieri centrali per origini, formazione e carriera.
  Roberto Marchionatti

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