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Due personalità opposte Anna e la figlia Marzia. L’una, donna brillante, bella e sicura di sé, l’altra, silenziosa, riservata e insicura. Il difficile rapporto madre-figlia costringe Marzia ad una dolorosa maturazione.
Nel 1968, quando uscì, questo libro venne presentato - complici forse gli anni di esaltazione del disagio giovanile, dell'incomunicabilità e della noia - come «il dramma segreto di una ragazza romana». Ai nostri giorni Via dei Serpenti (che allora aveva altro titolo: I lucertoloni) sembra più appropriatamente il racconto complesso di una maturazione dolorosa, dell'ambiguità dell'amore, dell'educazione sentimentale di una ragazza che vive una situazione singolare. Marzia, orfana di padre e figlia unica, cresce dagli anni Trenta ai Cinquanta con una madre di forza e di successo non comuni, e con una governante che è l'unica a dedicarle una vera attenzione materna. Di questa madre dalla luminosità accecante, dal ruolo e dalla figura sociale decisamente mascolini, Marzia deve conquistare con sforzo tremendo l'amore, e soprattutto deve riuscire a ricostruire dentro di sé l'immagine per potere giungere all'amore. Impresa immane, la cui enormità è simboleggiata dall'insormontabile difficoltà della parola. Intanto la vita, irrevocabile, affatica prima l'infanzia, poi l'adolescenza, la giovinezza. Marzia ha raggiunto l'indipendenza morale, rappresentata anche da una promettente professione distante per ogni aspetto dall'impronta del passato. L'identità della madre finalmente riesce a rappresentare ai suoi occhi lineamenti precisi e non una vaga minaccia, ma questo accade nel tempo dell'uscita di scena, quasi la madre si sacrificasse a un'incompatibilità fatale che non prevede la prova della convivenza paritaria. E l'illuminazione prende la forma di una metafora antica quanto l'infanzia e svelata solo in quel momento.
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