Poco prima di morire, nel 1675, Cavalli diede alle stampe presso l’editore Gardano di Venezia una raccolta di Vesperi a 8 voci, dedicata al doge Niccolò Sagredo. La raccolta, di cui esiste una pregevole edizione moderna curata dal musicologo Francesco Bussi, comprende tre diversi vespri: il Vespero della Beata Vergine Maria, con 5 salmi e Magnificat; il Vespero delle domeniche, con 13 salmi e Magnificat; e infine il Vespero delli cinque laudate (Dynamic CDS520), con cinque salmi e Magnificat. Si trattava di opere che Cavalli aveva scritto per rispondere alle esigenze liturgiche della cappella di San Marco, e che dunque illustrano esemplarmente, e ai massimi livelli, la prassi compositiva in uso presso la basilica lagunare. Come scrisse Aronne Mariani, “rispetto agli altri due vesperi che compongono l’edizione del 1675, i Vesperi delle Domeniche non sono stati concepiti per l’esecuzione in una specifica festività ma come copiosa “riserva” cui attingere per l’allestimento di vespri delle Domeniche correnti (per annum). I primi 5 Salmi (Dixit Dominus, Confitebor, Beatus vir, Laudate pueri Dominum, In exitu Israel) formano la serie ordinaria del breviario romano; gli altri otto sono invece una provvista grazie alla quale era possibile, con le opportune sostituzioni, allestire la sequenza di salmi per specifiche festività seguendo più la prassi marciana che il rito romano. (….) Il Vespero nella tradizione veneziana era tenuto in particolare conto perché costituiva, rispetto al rigido schema dell’Ordo Missae di Pio V, un contenitore più facilmente caratterizzabile, oltre che come specifica forma liturgica, anche come occasione di civica vita “politica”. È noto l’acceso contrasto che aveva opposto la Serenissima al Papato, culminato nella pronuncia, da parte di Paolo V, della scomunica del Consiglio e nell’emanazione dell’“Interdetto” nei confronti dello stato veneziano (1606), difeso da Paolo Sarpi. Lo scontro che produsse anche l’espulsione dei Gesuiti dalla laguna, ebbe conseguenze su diversi aspetti della vita cittadina. Anche nella liturgia, pur non arrivando mai all’adozione di un proprio rito, si privilegiarono cerimonie ed occasioni in modo diverso da quelle romane. Non è un forse caso che nessun musicista veneziano si sia mai nemmeno avvicinato al numero di Messe scritte dei grandi compositori romani”.
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