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Anno edizione: 2020
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La storia di un kibbutz fino dalla sua nascita , quasi un diario della vicenda lunga alcuni decenni . Sinceramente ci si perde un po' a stare dietro ai numerosi personaggi ...
Odessa, ca. 1920: a due anni dalla presa di potere del comunismo, sei ragazzi s’imbarcano verso la Palestina, dove fondano il kibbutz Afikim nella valle del Giordano. Sono socialisti convinti e creano questo villaggio con un forte spirito comunitario, dove non esiste la proprietà privata, nemmeno degli indumenti intimi, che sono indossati da tutti a caso. Con fatica il villaggio cresce e numerosi altri insediamenti sorgono nel giro di alcuni decenni: alla morte di Stalin (1953) si contano 66 kibbutz in cui vivono 23127 ebrei di cui 5949 bimbi. La sorprendente ascesa di Afikim è seguita per ca. 75 anni, fino alle soglie del 2000, quando il kibbutz, che ha raggiunto una popolazione di >1500 anime, si è dotato di capannoni industriali ed ha avuto anche un grande successo economico, è chiuso proprio perché è caduto l’ideale socialista e il capitalismo è serpeggiato tra le file. Ci sono echi della Città del Sole di Campanella e delle utopie socialiste del XIX secolo, e.g. di Robert Owen, di Charles Fourier o di William Morris. Ci sono dei meriti nella narrazione: spesso ironica e verso la fine, nella descrizione della caduta del kibbutz, anche poetica. Ci sono però anche non pochi limiti. In primis, questo tomo ha più la valenza di un diario di bordo che di un’opera letteraria. Inoltre gli eventi nel villaggio sono elencati con puntigliosa precisione e con inutili e superflui dettagli che fanno deragliare il flusso del racconto e ne ingarbugliano la trama. E’ per di più farcito di riti ed usanze tipicamente ebraiche, per cui questo volume, se è di sicuro interesse per una platea di ebrei, lo è ben poco per dei “gentili”. E’ un racconto di parte: Inbari lamenta le numerose aggressioni degli arabi agli insediamenti ebrei, ma chiude gli occhi sulla brutale conquista della Palestina da bande quali l’Haganah e la Palmach. La verità è raccontata ne La Rabbia del Vento di Yizhar, nel 1948 militare ebreo addetto alla pulizia etnica, qui totalmente ignorato.
mi è piaciuto moltissimo lo stile di scrittura di Assaf Inbari: asciutto, scarno, privo di retorica; ho trovato ottimo il suo raccontare l'arrivo in Palestina di un gruppo di ebrei laici russi e la progressiva creazione di un kibbutz (dove nacque Inbari) fino alla sua disgregazione dagli anni '20 alla fine del '900, in quella terra: splendidamente raccontati! l'elogio di Amos Oz a questo libro mi trova pienamente d'accordo.
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