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recensione di La Porta, F., L'Indice 1995, n.11
Il testimone-narratore che partecipa alle vicende raccontate nella "Verità futile" di Luca Doninelli così dichiara dopo aver ascoltato uno scambio di battute sui compiti dello scrittore: "Non si trattava lì, di letteratura, ma di qualcosa di molto più importante, Anche per Doninelli, immagino, esiste qualcosa di molto più importante della letteratura; qualcosa però che si può tentare di avvicinare (almeno oggi, dopo l'esaurirsi delle grandi metafisiche) quasi solo. attraverso la letteratura. Pochi romanzi italiani contemporanei presentano il furore morale (a tratti didascalico), la caparbia e a volte luttuosa attitudine interrogante che attraversa queste pagine, che evocano un cattolicesimo radicale alla Bernanos (ma, d'altra parte, "cosa resta al cristianesimo senza il pensiero della morte?", osservò una volta Sciascia).
Il romanzo si apre su un'immagine brumosa (una lingua di arenile) che poi ritorna varie volte, richiamata dalla fotografia di copertina. Una marina dall'orizzonte indistinto, e poi tronchi e rami d'albero, dune di sabbia. In questo paesaggio non tanto desolato ma come nudo, di luce spettrale tutto è come restituito a una sua primigenia verità. La figura che domina il libro è quella dell'antitesi, anzitutto tra i due anziani protagonisti, Lele Morra, il luminare di medicina, e Attilio Darsi, lo scrittore in crisi (un'amicizia profonda, fatta anche di segreta ostilità); tra la città inquinata e una natura misteriosamente abbagliante; tra leggerezza e follia (la sorella dello scrittore); tra salute e malattia... Termini di polarità diverse, che si congiungono però nella verità della rappresentazione.
Come nelle altre sue opere l'autore ci parla senza pudore di vita e di morte, di agonia e di felicità, del mistero della creazione artistica e del bisogno di integrità morale. Eppure non cade mai nel Kitsch filosofico-teologico: le frasi del libro appartengono sempre a personaggi in carne e ossa. Cosi, se qualcuno grida qualche sentenza moraleggiante ("Nel male, caro Attilio, ci si deve star male... tu e tutta la tua razza ci state bene"), non stiamo davanti a una saggezza portatile, ma alla frase detta da uno che vuole soprattutto difendersi dal male degli altri, e suo... Romanzo puntuto, ossessionato, duro, scandito da considerazioni risentite sul nostro tempo, sull'ipocrisia e sulla menzogna che ci avvolgono. Sguardo etico, scrittura semplice e inquieta (di stregata, dissonante musicalità), più curata rispetto ai romanzi precedenti. "Settembre, viceversa, è il mese dei rendiconti". Già, questo romanzo racconta in modo severo e attanagliante una piccola-grande tragedia e le "verità futili" che schiude. Al lettore resta solo un po' di delusione per non riuscire a mettere meglio a fuoco il personaggio dell'io narrante, sfuggente, dallo sguardo gentile e vuoto; ma in questo sguardo vedrà forse rispecchiati i propri possibili, virtuali rendiconti.
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