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A conti fatti, La vita dopo ha segnato un punto di non ritorno per capire appieno la figura di Antrim e rivalutarne l'opera. Lo scrittore americano in quel libro (pubblicato l'anno scorso da Einaudi) abbandonava la prosa funambolica e le trame surreali per raccontare una dolorosa storia familiare attraverso il suo rapporto con la madre. Libro lucido e dolente come pochi, rischia di restare il suo migliore, al di là che dietro ci sia una storia vera, per l'inesausta volontà di guardare in faccia la verità degli affetti. Altro è l'Antrim romanziere, certamente non meno bravo, ma che, sia a livello formale sia sul piano dei contenuti, mostra una visionarietà che non di rado sfocia nel colpo a effetto. Tanto in Votate Robinson per un mondo migliore (minimum fax, 2002) che in Cento fratelli (minimum fax, 2004) fino a questo Il verificazionista, il problema di fondo non è quindi l'esilità della trama (durante un ritrovo in una Pancake House con i propri colleghi, psicologi di un istituto di igiene mentale, Tom vive un'esperienza extracorporea), ma l'esito finale. Parti riuscite come quelle in cui Tom si ritrova per magia con Rebecca, la giovane cameriera, nel Bosco della Battaglia, o quelle in cui medita sul suo ménage matrimoniale fino ad arrivare al "risveglio" delle ultime pagine, vengono smorzate da una scrittura spesso fuori controllo. Intendiamoci: Antrim è uno di quelli che come Foster Wallace è in grado di fare un periodo lungo una pagina senza batter ciglio, ma, come altri autori della sua generazione, ha una scrittura proliferante che oltretutto non ha niente a che vedere con l'affabulazione. Del resto il romanzo è stato pubblicato originariamente nel 2000, in un momento in cui era forse ancora possibile apprezzarne quantomeno la concettualità. Ma i periodi interminabili (quando ci sono), le continue digressioni, il passare a setaccio ogni minima situazione potenzialmente narrativa, appaiono oggi come finte di corpo che non disorientano più nessuno. Roberto Canella
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