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Dò senza dubbio un voto alto a questo bellissimo racconto!
che sciocchezza! E quanta colpevole ignoranza nei lettori di questo autore da 4 soldi!
"l'abisso" di Lodoli è solo di mediocrità e supponenza.
Recensioni
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recensione di Pent, S., L'Indice 1996, n.11
Potremmo avere l'impressione di transitare dalle parti del "tutto-è-già-stato-detto-e-scritto", dell'atmosfera pseudomemoriale in cui inevitabilmente ci ricacciano gli anni, le letture e i ricordi. Prossimi, magari, all'elogio dell'ovvietà e del luogo comune, della fantasia di comodo che maschera uno stallo ispiratorio.
Siamo vicini invece, diremmo, alla sfida delle nostalgie esistenziali in tempo di crisi, quando solo l'aggancio alla finzione consente di tagliare il traguardo di troppe e troppo nuvolose giornate. Un altro marziano a Roma, anni-luce lontano dal povero extraterrestre di Flaiano sbeffeggiato nell'urbe della dolce vita. Qui è già sofferenza memoriale fin dall'esordio, e la satira lascia il posto ai bilanci che hanno il peso del piombo. Qui, sottolinea Lodoli - un Lodoli sempre più etereo, disincantato e metafisico - non c'è più spazio per progetti a lungo termine, siano essi terreni o celesti.
Naviga in rotte clandestine tra Fiumicino e Roma - ascoltando storie e confessioni di oscuri pendolari della vita - il taxista abusivo Luca, single per forza dopo l'addio di una Lisa che compare solo sussurrata tra le pagine. L'essere glabro e assurdo che salva fortuitamente dalle botte di alcuni energumeni si rivela una creatura aliena, scesa sulla Terra per fiutare i segreti di quella che - da un infinito lassù - poteva sembrare un'isola di felici meraviglie.
Invece l'agonia inizia subito, e subito inizia la corsa di Luca e dei figuranti che lo attorniano per salvare la vita dell'essere massacrato che rappresenta, in fondo, l'ultima speranza di riscatto umano. Nasce una specie di consorzio per la salvaguardia dell'extraterrestre, tra Luca ed Emilia, la fedele cameriera di famiglia; e poi Carlos, l'ex studente modello ora miope gigolò in cerca di certezze; Bambi, cellulitica e attempata infermiera di Trieste che gira l'Italia in overdose di sesso; il padre di Luca, decrepito avvocato teledipendente che naviga sulle rotte di una indifferente senilità...
Roma lampeggia sullo sfondo di questa vicenda appena accennata, con i suoi perenni mali ma anche con l'eco di un remoto fascino declinante, palcoscenico ideale - a tratti - per una sfarzosa uscita di scena dell'umanità. Lodoli ci ha abituati a rincorrere le ombre più contorte dell'esistenza. I suoi personaggi zompettano come marionette nella quotidiana lotta senza quartiere di questi anni fatiscenti e tuttavia frenetici. Attraversano le loro storie con la leggiadra irresponsabilità di un cieco che volteggia al trapezio. Potrebbe sembrare indifferenza, quell'insistente volontà narrativa che mette in campo maratoneti, capre, fondatori di circhi senza futuro, marziani e taxisti per caso. La realtà, si dirà, è un'altra. Invece no, è proprio questa la realtà: un progressivo dissolversi delle speranze, una costante presa di coscienza dell'inutilità di ogni finzione. Tanto che lo stesso Lodoli, in prima persona, scende ad autonarrarsi tra i personaggi, si muove con loro, parla, interviene nell'evoluzione dei fatti, si racconta per raccontare. Lo fa anche Paul Auster, da sempre, ma tant'è.
Potrebbe sembrare, alla fin fine, un gioco. Anche perché la storia è tutta appoggiata sulle esili spalle dell'idea di partenza, mirata al salvataggio della creatura spaziale. Ma intanto si sono bilanciati i destini, si sono intrecciati nuovi, dolenti rapporti tra agonizzanti della vita. Si è presa coscienza del fatto che, qui o altrove, siamo tutti in pericolo.
È Luna - vagheggia alla fine il marziano miracolato, con gli occhi che brillano, quasi la fumettistica caricatura di se stesso, una sorte di E.T. all'amatriciana. Il resto è polvere, polvere sollevata dal vento del titolo, quel vento oscuro e insidioso che percorre tutto il racconto come un'immensa scopa che spazza il paesaggio del pianeta. Ma se una speranza c'è, sottolinea Lodoli, non fa più parte di questo paesaggio in rovina. D'altronde, anni fa, già Eugenio Finardi invocava, in tutta sincerità, "Extraterrestre, portami via...".
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