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Anno edizione: 2016
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ho letto questo libro qualche tempo fa, attirata dall'idea di quest'autobiografia basata su un personaggio inesistente e dal basket. Ho trovato molto, molto di più: è stata una sorpresa inaspettata e indimenticabile. È uno dei libri più belli che abbia letto ultimamente e per 331 pagine Vittoriano Cicuttini è stato davvero il primo italiano a giocare in NBA. L'idea di inserire un personaggio fittizio nella storia reale è decisamente vincente e se il basket è il pilastro attorno al quale ruota la storia di Vittoriano, ci sono così tante cose in questo romanzo: amore, famiglia, amicizia, gioia, dolore, cadute e nuovi inizi. D'altronde è la storia di una vita, non potrebbe essere diversamente. È una lettura che consiglio davvero, uno di quei libri che alla fine ti lasciano sazio, pieno di ricordi, di momenti di tristezza infinita e speranza assoluta, uno di quei libri di cui vorresti parlare con l'autore e che sembrano così reali da lasciarti convinto che, dopotutto, forse Vittoriano esiste davvero.
Recensioni
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L’ autobiografia (inventata) di Vittoriano Cicuttini, formidabile giocatore di basket friulano che giungerà a militare nell’NBA, è un ottimo libro di intrattenimento, costruito per garantire alla narrazione una costante di vivacità, ma non per questo privo di momenti di effettiva qualità letteraria. A fare da spartiacque nel divenire della carriera di Cicuttini sono gli ultimi dodici secondi di una semifinale di Western Conference: anticipati nelle pagine iniziali del romanzo, dove se ne lascia intuire l’esito, troveranno il proprio scioglimento solo più tardi, una volta ripercorsi gli eventi che ne sono all’origine. L’epopea sportiva, il cui progresso è realisticamente permeabile ad accadimenti inattesi e a sviluppi non razionalizzabili, non è però l’unico punto focale del racconto, anzi è per così dire il nucleo narrativo che Marcuzzi prova di volta in volta a fare reagire con altro.
A dominare la prima parte della biografia è senza dubbio il padre del protagonista, individuo abitato da una ferocia che sembra qualificarsi come l’effetto non reversibile di una lunga sequenza di sconfitte e alienazioni. Il conflitto che viene a determinarsi tra genitore e figlio, e che la scomparsa precoce della madre rende in un certo senso più nitido e spietato, proietta sul racconto il profilo di un lento e penoso parricidio. È a quest’ultimo che Marcuzzi affida le uniche vibrazioni moralmente irrisolte, e dunque perturbanti, del romanzo. La vita di Cicuttini sarà infatti segnata dall’improvviso sopraggiungere di un dolore mostruoso, certo assai meno tollerabile di quelli affrontati nel corso dell’infanzia: tanto che si potrebbe leggere Ventiquattro secondi come una pacata riflessione sui moti imprevedibili della fortuna, o meglio come un piccolo trattato sull’etica della reazione al lutto. E tuttavia dalla prospettiva consolatoria che Marcuzzi cerca con insistenza di delineare, e a cui in definitiva sono credibilmente ricondotti anche i momenti più ardui dell’esistenza del protagonista, resta sostanzialmente escluso il primo ostacolo, il pensiero di un padre il cui ruolo e i cui insegnamenti, se ci sono stati, rifiutano di offrirsi a una decifrazione.
Nell’ultimo capitolo del libro, ci sembra, tutti i cerchi si chiudono tranne questo: il silenzio che domina gli incontri estremi tra Vittoriano Cicuttini e il padre non sancisce né una pacificazione né il suo contrario. al lettore non resta perciò che prendere atto della lieve incertezza che turba il dispiegarsi di un percorso edificante.
Recensione di Luca Fiorentini
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